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Il vero scandalo Isis: il ritardo dei pm

Ignorato per mesi l'allarme sui terroristi sbarcati: 50 parlamentari interrogano il governo sull'inerzia dei magistrati

Il vero scandalo Isis: il ritardo dei pm

L'orrore può sembrar lontano. Il massacro nella città irachena di Fallujia di 150 schiave yazidi punite per il rifiuto di sposare i militanti dello Stato Islamico può apparire distante. Ma solo se dimentichiamo che la bandiera nera dell'Isis già sventola a Derna, capoluogo di una Libia a soli 400 chilometri dalle nostre coste. O se dimentichiamo che la Procura di Palermo ha appena aperto un'indagine per capire se tra le masse approdate sulle nostre coste nell'ultimo anno si siano infiltrati militanti dello Stato Islamico o di altri gruppi jihadisti. Anche perché l'inchiesta della Procura, su cui il senatore Augusto Minzolini e 25 parlamentari con un'interrogazione chiedono al governo di riferire, arriva con molto ritardo.

La prima ad affrontare l'argomento fu, più di un anno fa, l'ex ministro degli esteri Emma Bonino. «Ci sono sospetti che dalla Libia fra i vari disperati ci siano anche provenienze di jihadisti o qaidisti su una via europea, che tra l'altro è uno dei metodi che hanno usato spesso... È una minaccia alla sicurezza». La dichiarazione, datata 18 novembre 2013, non era improvvisata. Quel giorno Emma Bonino usciva da una riunione del Consiglio Ue. Dunque dietro le sue dichiarazioni, rese con un anno d'anticipo rispetto alla magistratura, si nascondevano precise informazioni d'intelligence. Anche perchè, nella stessa occasione il ministro parlò di «spezzoni di informazioni che cominciano a diventare consistenti». Per capire a cosa alludeva bastava andare a Tripoli ed ascoltare quel che raccontavano fonti d'intelligence libiche e italiane sull'argomento. Ai primi di febbraio del 2014 una fonte libica consegnò a Il Giornale la foto di Ahmd Asnawi, un miliziano islamista sospettato di controllare il business dell'immigrazione clandestina e di usarla per finanziare la propria organizzazione. «I confini meridionali con Sudan, Ciad e Niger sono da due anni frontiere aperte, lì Hasnawi e i gruppi alqaidisti controllano i traffici di armi e uomini - raccontarono a Il Giornale altre fonti libiche - Hasnawi e i suoi spingono verso Kufra i trafficanti di uomini che arrivano da Sudan e Ciad. Lì scelgono i propri carichi di disperati. A differenza delle organizzazioni criminali offrono passaggi a prezzi inferiori su barche più grandi e più sicure in partenza da Sdabia o dalla Sirte». Informazioni confermate dai funzionari del nostro ministero dell'interno mandati a Tripoli a monitorare la situazione. «I confini meridionali - spiegavano già allora gli uomini del Viminale - non esistono più, nessuno è in grado di dire quante centinaia di migliaia di persone sono affluite da Sudan, Ciad Niger. A sud di Saba non esiste alcuna autorità, comandano i più forti e si muove di tutto dalla droga, alle armi, agli esseri umani».

L'inchiesta di Palermo, oltre ad arrivare con 12 mesi di ritardo, rischia di essere persino riduttiva. La vera incognita non è, infatti, se qualche singolo terrorista abbia approfittato del passaggio su una barca di clandestini per raggiungere l'Europa. Viste le proporzioni dell'esodo e vista la diffusione dell'ideologia jihadista nel Nord Africa è inevitabile che terroristi e simpatizzanti si siano infiltrati tra i 200mila clandestini arrivati sulle nostre coste. Ne fossero arrivati solo 20 saremmo di fronte ad una percentuale quasi fisiologica dell'uno su 10mila. La vera questione è, invece, quanta parte del traffico di uomini, alimentato per 12 mesi dai soccorsi di Mare Nostrum, sia sotto il controllo dei gruppi jihadisti. E quanto abbia contribuito al finanziamento dei gruppi terroristi.

Stato Islamico compreso.

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