Letteratura

Il "Popolo" non è sempre democrazia

La cultura della libertà difende la massa dalle proprie derive autoritarie

Il "Popolo" non è sempre democrazia

Il pamphlet di Loris Zanatta, Popolo (pagg. 84, euro 14), è il primo titolo della Liberilibri del post-Canovari. Il geniale editore liberale morto lo scorso 9 febbraio ha lasciato non solo una grande eredità di affetti e di idee, ma anche un catalogo strepitoso che va da Anthony Collins a Bruno Leoni, da Walter Block ad Antonio Martino, passando per Étienne de La Boétie, Edmund Burke, Ayn Rand, Murray N. Rothbard e centinaia di autori e testi libertari, liberisti, anarco-capitalisti o semplicemente liberali e basta. Ora alla guida di questo esercito della libertà c'è Michele Silenzi che raccoglie il testimone direttamente dalle mani di Aldo Canovari del quale è stato stretto collaboratore e fedele discepolo. Il libro di Zanatta, che è uno storico, è pubblicato nella collana Voltairiana, l'ultima creatura concepita e voluta da Canovari.

Ma cos'è o chi è il popolo? Il popolo è insieme un soggetto - la moltitudine - e un concetto - la rappresentanza. Loris Zanatta osserva che «popolo» è parola «polisemica» il cui vario significato potrebbe, un po' alla buona, essere reso così: ognuno se la canta e se la suona come vuole e si sceglie il popolo preferito, un po' sacro e un po' profano. Tutto bene fino a quando questo strano animale a più teste non entra in rotta di collisione con la libertà. Infatti, se è vero che non c'è democrazia senza partecipazione popolare, è altrettanto vero che solo con il popolo non si ha la democrazia liberale, ossia l'unica democrazia possibile capace di mettere insieme popolo e libertà. Basterebbe leggere il primo articolo della nostra Costituzione, senza la insopportabile enfasi benignesca, per capirlo. Dice l'articolo 1 che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti della Costituzione. La parola chiave è «limiti» che svolge il ruolo di custode della libertà: difende il popolo da sé stesso affinché non cada vittima della demagogia di un tiranno o, peggio ancora, non diventi esso medesimo, con la perversione della schiavitù volontaria, il tiranno di sé stesso. Purtroppo, la Costituzione italiana prima enuncia e poi troppo spesso dimentica questo principio fondamentale. In ogni democrazia, come già sapevano benissimo Madame de Staël, Benjamin Constant e Alexis de Tocqueville, vi è sempre in agguato la degenerazione della tirannia della maggioranza che, in momenti particolari, può anche evolvere in tirannia delle minoranze (come ammoniva un importante studioso della democrazia liberale come Giovanni Sartori). Ecco perché ciò che realmente conta è sviluppare una sensibilità o «cultura della libertà» che metta in scacco l'eterna illusione che ci sia o qualcuno da qualche parte che abbia una conoscenza superiore al quale affidare il potere, o qualcun altro che sia l'autentico interprete della voce del popolo o di quella cosa terribile e confusa che Rousseau chiamava «volontà generale».

Era esattamente questa l'aspirazione di Aldo Canovari: non tanto fare gli italiani, quanto fare degli italiani un popolo un po' più libero e consapevole.

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