Gary, tutti i colori di un camaleonte sempre fuori posto

In Francia sono usciti il suo primo romanzo e la sua ultima intervista. Entrambi incentrati sull'insensatezza del vivere

Gary, tutti i colori di un camaleonte sempre fuori posto

«Non penso di vivere ancora così a lungo da scrivere un'altra biografia» disse Romain Gary a Jean Faucher, il giornalista di Radio-Canada che lo stava intervistando. Era l'autunno del 1980 e di lì a due mesi si sarebbe sparato. Le sens de ma vie si intitolava quella intervista televisiva e ora, nel centenario della nascita, Gallimard ne pubblica il testo (pagg. 100, euro 12,50) e da postumo Gary si ritrova ai piani alti delle classifiche dei libri. Al repêchage , l'editore intelligentemente accosta un inedito, quel Le vin des morts (pagg. 237, euro 17,90) scritto a 19 anni, mai pubblicato e mai abbandonato e fonte di alcuni dei suoi libri più importanti, e insomma mai ritorno sulla scena poteva essere così completo, l'inizio e la fine allo stesso tempo.

Sul fatto che la vita avesse un senso, Romain Gary non era poi così sicuro. «Credo sia la vita a possederci, ad averci. Dopo, abbiamo l'impressione, o ci ricordiamo, di aver vissuto come se fosse stata una nostra scelta, ma per quanto mi riguarda è la storia, nel senso generale e in quello particolare e quotidiano del termine, ad avermi diretto, avvolto in una bobina in qualche modo».

Essere l'effetto e non la causa di se stessi, Gary lo spiegava con il racconto del camaleonte che cambiava di colore a seconda di quello del tappeto su cui veniva adagiato. Blu, verde, giallo... A lui era successo lo stesso: era nato in Russia, vissuto in Polonia, emigrato in Francia, aveva combattuto in Africa, lavorato nell'Europa orientale e negli Stati Uniti. A ogni mutamento, si era adattato e anzi per certi versi ci aveva preso gusto: giovane provinciale e eroe di guerra, diplomatico e scrittore di successo, marito e amante. Sapeva scrivere in più lingue, aveva moltiplicato gli pseudonimi e gli eteronimi...

Sì, il racconto del camaleonte era un po' la metafora della sua esistenza, compresa anche la fine della storia. Succedeva infatti che il camaleonte veniva a un certo punto messo su un tappeto scozzese e impazziva... A Gary accadde lo stesso, quando si accorse che Emile Ajar, l'altra identità con cui aveva di nuovo vinto il Goncourt, stava prendendo il sopravvento su quel Gary letterariamente un po' démodé che lui continuava a essere. Si era stancato della vecchia pelle e ne aveva indossato una nuova, e ora era stanco dell'una quanto dell'altra. Ricominciare a vivere non è difficile, è inutile.

Della insensatezza del vivere, Gary si era accorto sin da ragazzo: corriamo verso la morte e non possiamo farci nulla. E non è detto che da morti si viva meglio... È quello che succede al giovane Tulipe di quel suo primo romanzo mai pubblicato: si ritrova fra gli scheletri e le tombe di un cimitero e nell'ascoltare le confessioni dell'al di là vede che l'anima rassomiglia sempre a «una piccola puttana sporca e maleodorante» come nell'al di qua. Da scrittore, Gary sapeva che la moltiplicazione delle vite risolveva un problema letterario, non esistenziale. «Uno scrittore mette il meglio di se stesso, della sua immaginazione nel libro e tiene il resto, “il miserabile piccolo mucchio di segreti”, come diceva Malraux, per se stesso». Detto in altri termini, il problema era lui, la sua bulimia e la sua insicurezza, il voler essere una cosa e il suo contrario.

Rivendicando la libertà creativa dell'arista, Gary barava sapendo di barare: la vita, la sua vita, era un romanzo, falsa e quindi vera. Diceva di essere figlio di un grande attore del cinema russo, di essere nato a Mosca, alterava, ritoccava. Il liuto , uno dei racconti che ora appare in Una pagina di storia (pagg. 110, euro 12), il decimo dei suoi libri pubblicato da Neri Pozza, l'editore che lo ha rilanciato in Italia, racconta di un aristocratico ambasciatore il quale, all'apice della carriera, scopriva la propria omosessualità. Era pura fantasia, diceva Gary, ma diplomaticamente gli costò il posto, perché l'ambasciatore di Francia a Londra, da cui dipendeva, si sentì preso di mira.

Ma era davvero così, o era un'invenzione anche questa, come la storia che da Berna, dove si annoiava, aveva inviato un dispaccio il cui contenuto si riassumeva nel fatto che da tre giorni nevicasse in città? «È pazzo, mandatelo fra i pazzi» era stato il commento, e così era finito all'Onu.

In russo gari significa «brucia», così come Ajar, il suo ultimo pseudonimo, nella stessa lingua indica «la brace». Il Gary più riuscito, più interessante, era quello mai esistito. Quando si dice una vita bruciata...

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