Abitare in un sogno

La città reale si unisce alle linee grafiche e poetiche della dimensione «utopica»

Esiste una città visibile: selciati, broli, mercati, complessi edilizi. L’archeologo ne valuta gli strati. L’urbanista ne stabilisce proporzioni e funzioni. Lo studioso di arte ne classifica gli arredi e i decori. Ma c’è anche una città interiore, immateriale: nelle visioni di idealisti; nelle chimere di principi e potenti, ansiosi di marchiare il territorio con il loro ritratto immaginario; nelle prospettive purissime, nei punti di fuga matematici dei disegnatori rivoluzionari. E questo è il campo dello psicologo, che coglie gli umori; dell’analista, che si occupa di sogni e di ossessioni; del poeta, che narra le avventure dello spirito. Lo storico, se vuole descrivere la vicenda della città, specialmente in fasi di trapasso evidente, come dall’antichità medioevale al rinascimento, deve incrociare i metodi dell’archeologo e dell’analista, farsi un po’ psicologo e un po’ artista, per sovrapporre e contrastare le due visioni della città, quella che ancora oggi, in molti scorci, traspare dalle sedimentazioni dei secoli, e quella che bisogna rintracciare dispersa nei trattati, nei disegni, dei documenti di archivi e biblioteche.
Il metodo è quello di Donatella Calabi, che nel suo La città del primo rinascimento, in edicola domani con il Giornale, mette in luce le radici della città moderna. Il lavoro, che copre il «lungo Rinascimento», e dunque include l’intero ’400 per dilatarsi al secolo successivo, spazia dai centri anseatici dell’Europa nordica alle meraviglie urbane d’Italia, alternando la pagina teorica con schede dedicate che, nell’insieme, formano una guida turistica d’alto bordo per il viaggiatore del tempo, guidato a distinguere nella varietà delle mete singole, da Parigi a Ferrara, da Augusta ad Anversa, da Urbino a Venezia, fino al culmine della città sempiterna dei papi, i tratti comuni di un’evoluzione, di una fisionomia dell’epoca che si manifesta già come continentale.
Apprendiamo che la rivoluzione copernicana non è tanto nelle pietre e nei mattoni della città reale (che pure evolve, lentamente, dal groviglio medioevale al nuovo sistema di spazi pubblici, la piazza porticata del potere e della finanza, le moderne attrezzature, la borsa, il palazzo, l’ospedale), ma nelle linee grafiche e poetiche di quella utopica. È un filone carsico che parte da Scheria, la mitica capitale dei Feaci omerici, con il decoro urbano dei giardini di Alcinoo, la comodità delle acque, gli slarghi ariosi delle feste e dei giochi pubblici che dettano il tema, poi rinato come umanistico e rinascimentale, della città razionalizzata in un ordine composto di gradevole gusto del vivere e di probità austera, di virtù civiche: l’intreccio glorificato nell’Atlantide platonica, concentricità perfetta che solo il cataclisma può sgretolare.
Ne sono eredi la metropoli del sole di Campanella e l’utopia di Tommaso Moro. Ma se ne nutre anche Sforzinda, magico esercizio creativo e filosofico di Antonio Verulino, artista fiorentino detto alla greca Filarete, in prestito al duca di Milano Francesco Sforza, che illustra il suo Trattato di Architettura - primo architetto a completare i ragionamenti mediante grafica - con lo schizzo di un centro stellare (due quadrati sfalsati a 45 gradi, con incavi poligonali atti alla difesa dalle armi da fuoco), con circonvallazione anulare che unisce la serie intermedia delle 16 piazze minori, con chiese e mercati, mentre l’abitato si organizza sulle funzioni, concrete nei quartieri operai e artigiani, spirituali nelle scuole, nelle accademie e perfino nelle terrazze consacrate all’astronomia, e con uno scenografico labirinto intorno al perimetro murale, a rimarcare lo stacco drammatico tra civiltà dell’interno, governata dal raziocinio del principe, e misteriosa inquietudine del circondario.


In un disegno attribuito a Leonardo (Imola, 1502), ci sorprende l’incisione da fotografia satellitare della pianta, che nelle diagonali ortogonali, nella calligrafia dell’intrico viario e della cinta, nel cuore della piazza in allestimento ricorda tratti e proporzioni dell’uomo vitruviano. Città per l’uomo. Messaggio e monito dai maestri della rinascita. Il cantiere, dopo. Prima il progetto, la cultura, la mente.

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