Questa pagina è rimasta orfana. Non ospiterà più articoli di Ignazio Mormino, dottore in Medicina. Luigi Barzini, grande giornalista, diceva ironicamente della propria professione: «È difficile, carica di responsabilità, con orari lunghi, anche notturni e festivi, ma è sempre meglio che lavorare». Ignazio avrebbe potuto aggiungere: «e di praticare». Infatti, non praticò mai. Nel senso che non ebbe mai a che fare con i pazienti in carne e ossa. Si accontentò di quelli in carta e piombo, cioè di voi che state leggendo queste righe.
Ignazio se n'è andato il 3 maggio scorso e forse ora, mentre scrivo, è già a riposare nella sua Sicilia, dalla quale - per la precisione da Termini Imerese - giunse quassù, a Milano, nel 1950, all'età di vent'anni. In valigia portava, con le camicie e la maturità classica, l'imprinting paterno, e dunque medico si sentì in dovere di diventare. Lo diventò infatti, pur se con un po' di ritardo, e barando con i famigliari sulla tempistica degli esami. Perché se la Medicina era la sua promessa sposa, nella metropoli dell'informazione la carta stampata divenne immediatamente, con un colpo di fulmine, la sua amante. Tutt'altro che clandestina, comunque, visto che nel '52 già entrò nella mitica Notte diretta da Nino Nutrizio. Non per scrivere di Medicina, no, bensì di teatro e di arte, oltre che di cronaca. Vennero poi gli anni del Corriere Lombardo, con Benso Fini ed Egidio Sterpa e, dopo il ritorno alla Notte, nel '75 la stentorea chiamata di Indro Montanelli per entrare al Giornale. Impossibile rifiutare.
Allora nacque l'Ignazio Mormino che tutti voi conoscete bene. Quello che estrasse dal cassetto la propria laurea e incominciò a... esercitare sulla macchina per scrivere. Perché il Giornale era nuovo anche grazie all'intuizione di dedicare alla scienza più preziosa una pagina intera. Pagina della quale Ignazio è stato a lungo il dominus e uno dei numi tutelari, la coscienza critica e il luminare senza cattedra.
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