Addio a Purdom, un semidivo fra Shakespeare e «B movie»

Bello, colto e bravo come attore, Edmund Purdom - nato a Londra nel 1926 e morto ieri a Roma - è stato un semi-divo. La natura gli aveva dato troppo, mentre il cinema gli ha dato troppo poco. Figlio di un critico teatrale, col teatro, quello vero, Purdom aveva cominciato la carriera, imposto a vent’anni da Laurence Olivier nella Londra che liquidava Churchill, accorgendosi che vincere la guerra con gli americani aveva significato consegnare loro l’Impero.
Ma gli inglesi sono gente pratica. Sia Olivier, sia Purdom passarono dalla parte degli americani. Però la loro perfetta pronuncia non li rendeva idonei ai ruoli di yankee, relegandoli fra i personaggi europei, specie antichi. Insomma ai drammi di Shakespeare. E l’inizio per Purdom fu di quelli che si ricordano, col personaggio di Strati nel Giulio Cesare di Joseph Mankiewicz, teatro filmato d’alto livello, dove Marlon Brando era Marco Antonio e James Mason, altro inglese, era Bruto.
Partito col piede giusto come comprimario, Purdom proseguì nel 1954 con ruoli da protagonista nel Principe studente e nel Figliol prodigo, sempre di Richard Thorpe, e soprattutto in Sinuhe l’egiziano di Michael Curtiz, il regista di Casablanca. Sinuhe, medico della corte dei faraoni ideato dal finlandese Mika Waltari, avrebbe dovuto essere impersonato da Brando, che abbandonò presto l’idea. Per Purdom poteva essere l’occasione per imporsi come star, ma il film ebbe, in proporzione, meno successo del romanzo.
La Warner, che aveva sotto contratto Purdom, nel 1956 lo orientò su un film a sfondo contemporaneo, L’ora del delitto di Irving Rapper, accanto a Ida Lupino, dove Purdom era un reduce - un po’ suonato - dalla guerra di Corea. Il film non fu più brutto del successivo Va’ e uccidi di John Frankenheimer, con Frank Sinatra in un ruolo analogo; ma forse era ancora presto per le rimembranze coreane e il pubblico americano disertò L’ora del delitto.
A quel punto Purdom aveva giocato le sue carte e aveva perso. Gli restava solo l’altra Hollywood, quella sul Tevere. La sua vera patria, non solo cinematografica, sarebbe diventata quella. L’essere capitato come ultimo lavoro nel meno riuscito dei film di Pupi Avati, I cavalieri che fecero l’impresa (2001), potrebbe far pensare che Purdom quello meritasse.

E che avesse sposato Linda Christian - dopo lungo fidanzamento cominciato quando lei non era ancora vedova di Tyrone Power - potrebbe far credere che Purdom fosse davvero un dissoluto, almeno per i tempi, visto che con questo pretesto la Warner non gli rinnovò il contratto. Ma Purdom era solo uno dei tanti che s’adeguavano ai costumi rilassati della categoria.

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