Adorni: «Io portafortuna mondiale»

«Trionfai a Imola e ho fatto da starter due volte: vinsero Cipollini e Bettini. E domenica mi toccherà ancora...». Ma nelle ultime 5 occasioni è andata male

Toccate ferro,portate amuleti, gettate sale dietro le spalle, non rompete specchi e non regalate cose appuntite: per vincere il mondiale in Italia ci vuole una felice combinazione astrale. Dieci volte abbiamo ospitato la rassegna iridata, solo in due occasioni siamo usciti campioni. Nel lontanissimo 1932, a Rocca di Papa (Roma), con Alfredo Binda. L’ultima volta, quarant’anni fa, nel 1968 a Imola, con Vittorio Adorni. A Napoli, come antidoto alla malasorte, ricorrerebbero ad un semplice scioglilingua: «aglie ‘e fravaglie, fattura ca’ nun quaglie». A Varese, domenica, Franco Ballerini e gli azzurri proveranno qualcosa di simile. «Non è detto che qualcosa si faccia. Ogni sportivo ha i suoi riti, le proprie scaramanzie, ma è bene non rivelarle mai», ammette il ct azzurro.
«Corsi con un paio di scarpini nuovi di zecca che mi fece per quella corsa il grande Colombini, e in quell’occasione montai anche una coppia di freni Campagnolo nuovi di zecca – ricorda Adorni, l’ultimo italiano a trionfare in Italia -. Nessun amuleto, nessun rito propiziatorio. Forse sono io che porto bene...».
Dice?
«Ho dato il via a due mondiali: Zolder e Stoccarda. Due le vittorie, con Cipollini e Bettini. Domenica sarò lo starter per la terza volta. E non è tutto… ».
In che senso?
«Alle Olimpiadi sono stato designato a premiare ad Atene: vinse Bettini. A Pechino no: secondo Rebellin».
Ottimista, quindi?
«Bisogna pensare positivo e sono convinto che Paolo Bettini possa fare il gran colpo. Il tris consecutivo non è mai riuscito a nessuno, e Paolo potrebbe essere il primo a vincere tre mondiali di fila e così sarebbe anche il terzo italiano a vincere sulle strade di casa. E poi sa che a Varese nel’51 il mondiale fu vinto da un ragazzo dilettante, di nome Gianni Ghidini, parmigiano come me? L’altro ieri, altro dilettante campione del mondo: Adriano Malori, parmense…».
Va bene, ma allora domenica si perde…
«Corna e bicorna…».
Scusi Adorni, ma di quel mondiale del ’68 cosa ricorda?
«Tutto. E’ stata una giornata memorabile, soprattutto mi ricordo la vigilia. Non mi volevano nemmeno portare. Temevano che io potessi essere un “traditore”, visto che ero compagno di squadra di Eddy Merckx alla Faema…».
Un mondiale che sa di caffè, titolarono…
«Esattamente. Ma per Eddy quel mondiale fu amaro. Era il grande favorito con Felice Gimondi. Io dovetti convincere il selezionatore azzurro Mario Ricci. Vinsi sette giorni prima la Coppa Placci, proprio sul circuito iridato e alla sera mi disse: “Ok Vittorio, domenica ci sarai…”».
Come mai tanto ostili nei suoi confronti?
«Avevo 31 anni, quindi ero considerato già vecchio. Poi avevo fatto secondo al Giro, quinto alla Vuelta, era stata una stagione così così. Non davo garanzie, e qualcuno pensava anche che mi fossi imborghesito. Quell’anno mi diedi alla conduzione televisiva, “Ciao mama” il titolo, con me Liana Orfei. Pensate che nella settimana iridata fui sostituito da Alberto Lupo, scusate se è poco… Tornando a quel mondiale, sul mio conto c’erano tanti punti interrogativi, ma alla fine riuscii a mettere tutti d’accordo e in corsa feci un piccolo grande capolavoro».


E’ vero che Merckx alla fine non le corse dietro?
«Nei filmati di repertorio io ho visto un Eddy molto combattivo, sempre tallonato da Gimondi, Dancelli, Bitossi, Motta e compagnia azzurra. Vuole però la verità? A Eddy non gli ho mai chiesto nulla. Preferisco pensare che quel 1° settembre del 1968 io sia stato semplicemente il più forte».

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