«In aereo c’è una bomba» Panico sul volo per Roma Tutti i passeggeri a terra

Nessuno, alla fine, si è accorto di nulla. Nessuno tranne i passeggeri dell’Airbus 321 diretto a Roma, costretti a scendere dall’aereo e a bighellonare per ore al duty free in attesa che gli specialisti dell’antiterrorismo, a due e a quattro zampe, facessero l’ispezione di rito, sedile dopo sedile, cappelliera dopo cappelliera, toilette dopo toilette. Nessuno si è accorto di nulla perché non basta, un allarme bomba, ad alterare il caos ordinario in cui già affoga in un giorno qualsiasi dell’anno l’aeroporto del Cairo.
«Attenzione. Sul volo per Roma c’è una bomba» aveva detto la voce al telefono. Una segnalazione anonima. Rivendicazioni nessuna. Ma poiché tutto questo accade al Cairo, «cuore» di quel mondo arabo musulmano vicino all’America e all’Occidente, i campanelli d’allarme alla Farnesina suonano fortissimo. Le forze di sicurezza che vegliano sullo scalo, che per volume di traffico è il primo del continente africano, entrano in azione alle 17.30 (le 16.30 in Italia). L’ambasciata d’Italia, la Farnesina, il ministero degli Esteri egiziano, l’Interpol: in un lampo, un minuto dopo la telefonata anonima, tutti sanno tutto. Scatta la procedura di emergenza. Si tratta di fare presto, e allo stesso tempo di evitare che tra i passeggeri si scateni il panico. Uomini e donne vengono invitati a scendere rapidamente, portando ciascuno con sé il proprio bagaglio a mano. Occhi allenati scrutano le facce a bordo, gli eventuali comportamenti sospetti. Perché la voce al telefono aveva parlato di bomba, senza però specificare se si trattava di ordigno a tempo, o di kamikaze.
I 257 passeggeri a bordo, in gran parte italiani, capiscono, si muovono rapidamente, nessuno protesta. Molti, confesseranno alla fine, hanno avuto paura. Ma ognuno è riuscito a dominarsi, a non far trasparire il suo stato d’animo. È così che si è evitato il «contagio», l’effetto domino scatenato dalla paura.
In un momento la «sindrome americana», scatenatasi negli aeroporti Usa dopo il fallito attentato del nigeriano, allaga i pensieri di piloti, hostess e passeggeri. Lo sanno tutti che viaggiare è diventato un rischio; che gli aerei, e la gente a bordo, sono il pensiero fisso dei terroristi che sognano di agganciare alla cintola di Al Qaida un altro scalpo prestigioso; magari non come quello delle Torri gemelle o dell’attentato al treno di Madrid; ma un «colpo» che ridia smalto all’appannata stella di Osama Bin Laden e alla sua scalcagnata organizzazione.
Tutto, all’aeroporto Al Qahirah del Cairo, una ventina di chilometri a nord est dal quartiere degli affari della capitale egiziana, si svolge secondo standard ormai ampiamente collaudati dalle polizie di tutto il mondo. Quando a bordo non c’è più nessuno, l’Airbus viene spostato su una specie di binario morto, lontano dai terminal, dalle piste di decollo. L’indagine può cominciare. Il velivolo viene passato al pettine fitto, senza lasciare nulla al caso. Tra i passeggeri del volo Alitalia c’è anche il ministro egiziano del Turismo, Zoheir Garana, diretto in Italia per partecipare alla Borsa del Turismo a Milano.

Alla fine, quando gli artificieri daranno il via libera si imbarcherà anche lui, come gli altri. È stato un altro ordinario giorno di paura, per il gran popolo (cioè tutti noi) che dell’aereo non può più fare a meno. Ma nessuno, al Cairo, (tranne i passeggeri del volo per Roma) si è accorto di nulla.

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