Aeroporti, un business che si trasforma

Aeroporti, un business che si trasforma

da Milano

Lo scontro tra Gemina e gli australiani di Macquarie ha messo di nuovo in luce l’importanza del business aeroportuale: c’era in palio il possesso di Aeroporti di Roma, la società che gestisce gli scali di Fiumicino e Ciampino (è di questi giorni il passaggio di proprietà delle azioni). A breve, poi - proprio oggi comincia il road show - arriverà in Borsa la Sat, la società che gestisce l’aeroporto «Galilei» di Pisa; va ad affiancare, al listino, Adf-Aeroporto di Firenze e la Save, che gestisce il Marco Polo di Venezia, gli aeroporti di Treviso e di Pantelleria, e due scali minori, Padova e Lido di Venezia.
Non è in Borsa, invece, la Sagat, che possiede Aeroporti holding, una delle società più impegnate in un disegno di «rete»: possiede, oltre allo scalo di Torino, il 31% di Adf e il 5% del Marconi di Bologna. Il secondo azionista, dopo il Comune di Torino, è Sintonia (gruppo Benetton) con il 24,3 per cento. Lo stesso gruppo Benetton ha una presenza importante (31,5%) in Investimenti infrastrutture, primo socio di Gemina: se, come pare, il fondo Clessidra (Claudio Sposito) è pronto a cedere il suo 31,5% di Investimenti infrastrutture, il gruppo Benetton appare l’acquirente più ovvio. Sposito potrebbe reinvestire a valle, direttamente in Adr; da parte loro i Benetton con Fiumicino hanno anche altri tipi di sinergie, visto che possiedono i terreni della tenuta Maccarese, limitrofi all’aeroporto. Restando agli scali romani, nei giorni scorsi si è assistito a un vivace dibattito sulla riduzione di voli da Ciampino (scalo in gran parte dedicato al traffico low cost), e al conseguente trasferimento di alcune compagnie a Fiumicino; ragione, questa, che ha avviato le scommesse sul sito per il terzo aeroporto del Lazio, del quale ormai si avverte la necessità.
Il quadro, allo stato, è questo; intanto si assiste a un fermento verso la privatizzazione di molti scali, la gran parte dei quali sono tuttora, sostanzialmente, delle «municipalizzate» (come la Sea di Milano, che gestisce Malpensa, Linate ed è azionista di Orio al Serio) o società di enti locali. In Italia, va ricordato, ci sono un centinaio di aeroporti, dei quali 40 sviluppano traffico di linea e solo 30 muovono più di centomila passeggeri l’anno; i veri «poli» sono tre soltanto, Roma con 35 milioni, Milano con 30 e Venezia con 8. Quali linee strategiche si possono decrittare da questo scenario, che negli ultimi anni è stato fortemente segnato dal traffico low cost?
«Molti aeroporti piccoli vivono proprio sul traffico low cost, e soffrono di mancanza di coordinamento, finendo per farsi concorrenza tra loro - spiega Lorenzo Ferroni, partner di Bain&Company -. Essi sono obiettivo di accordi con società di gestione più grandi, alla ricerca di scali minori sui quali coordinare proprio il traffico point-to-point delle low cost». Poi ci sono gli aeroporti medi: il «taglio», per intenderci, di quelli uniti in Aeroporti holding. «Questi hanno modalità di traffico diverso, sia di linea che low cost - continua Ferroni - e il concetto di network aiuta a far leva. Unirsi significa avere sinergie di costi, possibilità di esportare pratiche gestionali per raggiungere migliore efficienza, avere più potere contrattuale nei confronti dei vettori». Inoltre, crescendo le dimensioni dell’aeroporto si assiste a una crescita dei ricavi no-aviation, quelli cioè provenienti dalle attività commerciali presenti nello scalo. «La media dei ricavi - spiega il partner di Bain - nel 1988 proveniva per il 65% dalla specifica attività aeroportuale e per il 35% dal no-aviation; vent’anni dopo il mix si è invertito, 49% e 51%».
Infine, gli aeroporti grandi. «Qui le competenze si sono evolute oltre il semplice retail: il nuovo business è immobiliare, alberghi, centri commerciali, business center e parcheggi. Questo è il modello delle società che gestiscono Schipol (Amsterdam) e Heatrow (Londra)». Proprio in questo senso vanno i piani industriali di Adr e di Sea, che prevedono investimenti rispettivamente di 2 e di un miliardo di euro.
«Vogliamo valorizzare le nostre aree limitrofe a Malpensa», ha detto di recente il presidente della Sea, Giuseppe Bonomi. Tutto questo, tuttavia, per Ferroni «va inserito in un quadro di riferimento certo e di lungo periodo». E il riordino degli aeroporti da anni promesso dal governo? «Troppo tardi, ormai si è imposto il mercato. All’estero lo hanno fatto molti anni fa.

Se ancora è fattibile, è molto complesso». E conclude: «Comunque non ci si dimentichi che l’attività di un aeroporto dipende dalle scelte di un vettore». E qui il riferimento implicito è alle responsabilità dell’Alitalia.

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