Mario Cervi
In «Qualcosa di liberale» (editori Greco) Egidio Sterpa ha raccolto i suoi più recenti scritti. I lettori del Giornale conoscono bene Sterpa, che su queste colonne ha pubblicato buona parte delle note raccolte ora in volume: e, conoscendolo, sanno che è, come politico e come articolista, duna indiscutibile onestà. Anche chi non è daccordo con lui - io lo sono spesso, non sempre - deve dargli atto dun qualcosa che nellarena della politica e nellarena della stampa non è proprio moneta corrente: Sterpa dice e scrive ciò che veramente pensa, è refrattario alle mode e ai conformismi. In una Italia dove - se ci si fida di attestazioni solenni - pare che tutti siano liberali, lui è liberale sul serio.
Nel 2004 aveva messo mano, con lintenzione di diffonderlo, a un «manifesto» ideologico. Poi rinunciò «perché non apparisse come il tentativo di creare un nuovo partito». Del che non si sentiva il prepotente bisogno. Di quel documento rimasto agli atti cito un passaggio centrale: «Essere liberali significa credere in un sistema di valori, primi dei quali il rispetto per gli altri, lo Stato di diritto, il metodo del dubbio nellaffrontare i problemi, la libertà di impresa e di mercato, la conseguente limitazione della presenza pubblica ai soli campi in cui è indispensabile e insostituibile». Se quel testo mi fosse stato sottoposto non so se lavrei firmato - al firmaiolismo dilagante sono allergico - ma di sicuro lavrei approvato.
Importante è la sottolineatura del dubbio: lo considero lingrediente indispensabile duna mentalità liberale, più che duna ideologia. Se si è impegnati in politica avere dubbi significa, a un certo punto, doverli esprimere. Sterpa milita, come deputato di Forza Italia, nel centrodestra. Il cui vertice - da lui citato con nome e cognome, Silvio Berlusconi - «ha più duna volta mostrato di non gradire obiezioni». Si deve supporre che alcune prese di posizione di Sterpa siano state - per il momento in cui le ha espresse e per la tenacia con cui le ha difese - piuttosto fastidiose. Vuol essere leale verso lo schieramento di appartenenza - «le mie convinzioni e la mia cultura personale non mi porteranno mai alla diserzione» - ma tenendo la schiena ben diritta. Infatti ha annunciato per tempo che mai avrebbe dato il suo voto alla devolution (o devoluzione, scegliete voi). Ha in questo la mia totale solidarietà. Non cè nulla di male, lo sappiamo entrambi, in un sano e razionale decentramento dei compiti istituzionali e del potere: cè invece molto di male nei decentramenti italiani, ottenuti non eliminando apparati burocratici centrali e sostituendoli con apparati periferici, ma lasciando intatti i primi e aggiungendo a essi i secondi. Con il risultato di rendere più costose e complicate le procedure.
Sterpa concede poco alle litanie degli yesmen imperversanti in tutto larco politico. Ma la sua battaglia contro le ipocrisie e contro larroganza duna sinistra che ha esercitato - piaccia o no riconoscerlo - unautentica egemonia sulla cultura e sullinsegnamento dura da molto, e continua. Personaggi di spicco e dindubbia intelligenza come Massimo DAlema assumono, quando soccupano del centrodestra e della sua cultura, il tono di sufficienza e dinsulto che - immagino - i bramini indiani riserbavano ai paria. Sterpa cita, in proposito, una frase che Pasternak mette in bocca al dottor Zivago, preso nel vortice duna Russia del 1917 sconvolta dalla rivoluzione dottobre.
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