«Alluvione del Polesine, dramma tra sorelle»

Maria Paiato è protagonista della pièce al Parenti: «Una storia che racconta le dinamiche della famiglia»

Viviana Persiani

Un’occasione per commemorare un periodo angosciante e di grande disagio, quello che seguì la disastrosa alluvione accaduta in Polesine nel 1951; La Maria Zanella, in scena al teatro Franco Parenti, si rende portavoce della tragedia ambientale, ma soprattutto umana che gli abitanti della zona dovettero affrontare, mantenendo però sempre la testa alta e cercando di non avvilirsi di fronte al dramma. È Maria Paiato a vestire i panni della protagonista, dando vita a un lavoro drammaturgico scritto da Sergio Pierattini che ha utilizzato, in realtà, l’alluvione, come pretesto per raccontare l’universale. «Certo - racconta Paiato -, del disastro se ne parla, ma la scrittura abile di Pierattini è andata a sondare altri campi».
In che senso?
«Il fatto storico fa da sfondo a una storia drammatica e puntando sulle dinamiche familiari, sulle relazioni che uniscono le persone e sul rapporto di due sorelle, l’autore tocca le corde di tutti».
Chi è Maria Zanella?
«È una donna che subisce un danno cerebrale in seguito all’alluvione; un incidente rende questa donna mentalmente instabile: sempre avvolta da una sorta di ingenuità, da un candore disarmante, stupita del mondo che la circonda, Zanella ha dei problemi a livello di psiche. Ecco perché la sorella decide a un certo punto di farla ospitare da una clinica».
Come reagisce Maria?
«Quando comprende che la sorella sta tramando per liberarsi di lei, si rifiuta categoricamente di prendere parte al gioco».
Come nasce questo lavoro?
«Fu il comune di Occhiobello, dove io sono nata e cresciuta, che mi commissionò nel 2001 uno spettacolo proprio per ricordare la tragedia. Così, dopo aver arruolato Pierattini come drammaturgo, ho portato di fronte al pubblico un lavoro che solo ora ha assunto i caratteri di vero e proprio spettacolo. Affidando la regia a Maurizio Panici, ora la messinscena risulta un lavoro confezionato proprio per il palcoscenico: le musiche giuste, le luci, la scenografia».
È sola sulla scena?
«Sì, dò voce a entrambe le sorelle e quando mi calo nei panni delle due signore, mi sento come fossi a casa. Parlo dei luoghi dove sono cresciuta, con la cadenza tipica della zona che mi appartiene e con il linguaggio del paese che non è dialetto, ma è un codice molto familiare, semplice, quello delle persone comuni che non hanno molta cultura».
Il pubblico si sente partecipe di una storia del genere?
«Non ci sono discorsi importanti, ma parole e conversazioni quotidiane che disseminano l’intero spettacolo.

Ecco perché lo spettatore riesce a godere del lavoro senza doversi astrarre o sollevare sopra le righe: attraverso la parola dello scrittore il pubblico resta suggestionato, tanto da sentire gli odori i profumi, da vivere le vicende e partecipare al dramma familiare che si consuma tra le macerie del Polesine».

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