Amici di Marta, gli applausi fateli a chi ha spalato, non a lei

Amici di Marta, gli applausi fateli a chi ha spalato, non a lei

(...) Bastava vederli, anche l’altra sera, su Retequattro, a Blog-La versione di Banfi, bastava vedere le loro facce pulite, perbene, solari. Facce di ragazzi di parrocchia e laici. Sinceramente, non facce da centri sociali come abbiamo letto sul sito del Comune. E bastava vedere le facce dei ragazzi nigeriani in via di Brera e in via Cesarea, cose che riconciliano con la vita. Questi sono quelli da applaudire, non i politici che si autoassolvono o che saltano addosso alle disgrazie per lucrarne qualche minimo interesse personale o qualche preferenza o qualche visibilità.
Ecco, se la politica ha ancora un senso, una dignità, parli di questi ragazzi, li prenda, li premi, faccia delle loro facce la sua faccia. E parlo di tutti, centrodestra e centrosinistra.
Invece, poi, c’è Marta con i suoi uomini che portano le truppe cammellate ad applaudirla in consiglio comunale e che, dimenticato quel barlume di autocritica di domenica e lunedì, torna a tenere il punto. E a dire: «Lascio stare, anzi disprezzo, i profeti del giorno dopo». Prendendosela duramente anche con la stampa.
Ecco, credo di aver titolo per parlare. Sul nostro Giornale, unico, il giorno prima (il giorno prima, non il giorno dopo!) abbiamo scritto che era assurdo dire alla gente di restare in casa e di non prendere l’automobile e poi, contemporaneamente, lasciare aperte le scuole. Abbiamo scritto, con titoloni, che mettere i lucchetti a cimiteri e parchi e non alle scuole era contraddittorio e sbagliatissimo. Ma, credetemi, a questo ruolo di profeta del giorno prima, avrei volentieri rinunciato, in cambio di una giornata di precauzioni con un sole caldissimo e la gente in spiaggia, anche se a scuole chiuse. Poi, magari avremmo ironizzato sui meteorologi, ma finiva lì.
Invece, temo che la scelta di non chiudere le scuole nonostante un allerta 2 chiarissimo (fra l’altro, con precedenti terribilmente perfetti: era stato dato per l’alluvione di Sestri Ponente e per quella di Cinque Terre e Val di Vara solo relativamente allo spezzino, con precisione chirurgica), sia qualcosa che grida vendetta. E che sia ancora peggio non ammetterlo.
Ma lo sa Marta che i sindaci di Sanremo Maurizio Zoccarato e di Finale Ligure Flaminio Richeri ci avevano mandato in redazione le ordinanze di chiusura delle scuole essendo in possesso dello stesso, identico, bollettino di «Allerta 2»? Quelle ordinanze fanno crollare il castello di carta di Marta, anche perché - come certifica l’Arpal, che è stata impeccabile nell’occasione - «l’allerta prevede esondazioni, frane ed elevato rischio per l’incolumità di persone e danni alle cose e connota eventi di natura eccezionale». Cosa si voleva di più?
Mica finita. In questi giorni si è sentito parlare del fatto che sarebbe servita la dizione «allerta 3», «allerta 5», «disastro» o «tsunami». Ma vogliamo renderci conto che il numero non conta nulla? Se io so che «allerta 2» vuol dire «elevato rischio per l’incolumità» posso chiamarlo anche «Pippo» o «Peppino», anziché «allerta 2», ma cambiando l’ordine dei nomi, il risultato non cambia. Sempre di pericolo si tratta, anche se il nome «Pippo» fa meno paura. E, ribadisco, il comportamento dei sindaci di Sanremo e di Finale Ligure è proprio la prova definitiva del fatto che gli elementi per decidere c’erano tutti.
Ma ce n’è pure per il prefetto di Genova Antonio Musolino. Nei giorni scorsi, si è letto sul Secolo XIX - giornale che pure è stato davvero ottimo in questi giorni, con articoli del direttore Umberto La Rocca, persona perbene e giornalista vero, e del vicedirettore Alessandro Cassinis, in cui mi ritrovo alla virgola, e inchieste come quelle sulla mail alle scuole che parlano chiaro, dando un senso al nostro mestiere - un pezzo che non condivido. L’articolo a mio parere sbagliato era quello che difendeva l’operato del prefetto di Genova, spiegando che la chiusura delle scuole spettava esclusivamente al sindaco.
Ma, anche qui, c’è un’ordinanza che dice una cosa diversa. Un atto pubblico, non un’inchiesta giornalistica, non un’indiscrezione, non un pettegolezzo. Ed è l’ordinanza - peraltro, si è letto, contestata da alcuni sindaci della provincia imperiese, fra cui quello del capoluogo - del prefetto di Imperia Fiamma Spena, che chiudeva le scuole di ogni ordine e grado, private comprese, il 4 e 5 novembre. E, anche in questo caso, il bollettino dell’Arpal che aveva in mano la brava e previdente prefetto di Imperia era identico a quello che avevano in mano a Genova. E l’«allerta 2» tanto contestato era lo stesso identico «allerta 2» con cui Marta e i suoi si sono fatti scudo per giorni, fino al consiglio comunale di giovedì.
E allora? Sono degli irresponsabili quelli di Imperia che chiudono le scuole per un nonnulla? O hanno sbagliato Marta e i suoi assessori a non chiuderle? Con l’aggravante del surreale assessore Veardo che ci ha spiegato in televisione che tenerle aperte è stato provvidenziale perché le scuole sono luoghi sicuri (e ci può stare) e perché così si sono tenuti a casa centinaia di bambini che sarebbero andati a spasso con i nonni per la Valbisagno durante la piena. Ora, è chiaro che le parole esatte non erano queste, ma il concetto dei Marta-boys purtroppo era proprio questo.
Insomma, le ordinanze di Comuni e Prefetture dell’estremo ponente parlano chiaro. Le note scritte dall’Arpal prima dell’alluvione erano illuminanti. E, per una volta, sono perfettamente d’accordo con il geologo del Cnr Mario Tozzi, che proprio nel programma di Alessandro Banfi ha spiegato con molta chiarezza e senza fare sciacallaggio mediatico che gli «eventi eccezionali» erano chiaramente intuibili nel gergo scientifico delle note dei previsori regionali. Non un «profeta del giorno dopo» per dirla con Marta, ma un guru riconosciuto dell’ambientalismo progressista, mai così moderato e serio nell’approccio.
Ribadisco, era già tutto scritto. Eppure, si è deciso diversamente. Perché?
Temo che, purtroppo, il vero motivo è che non si volesse fare una mossa politicamente impopolare per motivi elettorali, visto che l’anno prossimo si vota per le amministrative. E bruciava ancora la chiusura inutile delle scuole per l’«allerta 2» (ma, stavolta, per neve, che ha modalità e previsioni completamente differenti ed è uguale a quello per pioggia solo nel nome), che aveva creato polemiche nelle famiglie, abituate a vedere nella scuola una specie di baby sitter, un ammortizzatore sociale per tenere i bimbi quando si lavora.
Vedete, io credo invece che la scuola serva ad altro. Che il suo primo scopo non sia certo quello di tenere i bimbi fuori casa, ma sia quello di educare. E credo che la debba pensare così anche un’insegnante come la nostra sindaco. Tutto il resto viene dopo. Anche nell’anno delle elezioni o, peggio, delle primarie del centrosinistra per designare il candidato sindaco.
Insomma, nessun «profeta del giorno dopo», ma semplicemente la volontà di raccontare punto per punto tutto quello che è successo in questi giorni. Non sulla base dei sospetti, né di una sopravvalutazione delle colpe di Marta: se in Valbisagno si è costruito in maniera scellerata dieci, venti, trenta e quarant’anni fa, non è certo colpa della sindaco. E l’immagine della bruttezza edilizia degli ultimi quarant’anni a Genova è la vera foto del sacco di Genova: l’ha spiegato anche il filosofo Remo Bodei l’altro giorno al Ducale per parlare della «Bellezza», nell’ambito degli incontri della Fondazione Edoardo Garrone voluti da Duccio e dal suo braccio destro Paolo Corradi. La bruttezza delle case di certe zone di Genova, la bruttezza di chi ha costruito tanto per costruire, in fondo, spiega quello che è successo meglio di mille inchieste.
E qui trovo anche l’unica parziale giustificazione per Marta. Colpevole, colpevolissima, sia del prima, sia del dopo, come abbiamo ampiamente spiegato. Ma quello che trovo ancor più insopportabile è trovare nelle vesti dei moralisti e dei fustigatori della sindaco anche gente che è appoggiata dagli stessi cementificatori, anche gente che ha come sponsor i costruttori di alcune di quelle brutture, anche gente che fino a qualche giorno fa contestava la variante del Puc che limita l’edificabilità, anche gente che sosteneva che Genova può crescere solo ricominciando a costruire in collina, anche gente che andrebbe moralizzata prima di fare la morale. C’è un limite a tutto, anche alla strumentalità.


Proprio per tutti i motivi che ho detto, credo che Marta abbia il diritto-dovere di ricandidarsi. E che i cittadini abbiano il diritto-dovere di giudicare i suoi comportamenti, opere, fatti e omissioni. Con la speranza che sia l’occasione per cambiare, finalmente, le facce di chi governa Genova.

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