Anche l’Italia ha il pozzo nel mare. Ma è sicuro

nostro inviato a Siracusa

Mentre nel golfo del Messico continua ad allargarsi a dismisura la catastrofe oleosa, distruttrice di vita e di natura, a Vega, in Sicilia, al largo di Siracusa, Edison gioca di trasparenza e apre le porte (gli attracchi) della più grande piattaforma petrolifera d’Italia, seconda nel Mediterraneo. Oltreoceano l’acqua è ridotta a una lurida poltiglia inavvicinabile, sotto i pontili di Vega il mare ha il colore del lapislazzulo, le onde brillano sotto il sole e qua e là si possono scorgere i pesci che saltano oltre la superficie. Nessun paragone, sia ben chiaro. Ma fa impressione avere sotto gli occhi una struttura rassicurante nello stesso momento in cui, molto lontano da qui, la tecnologia si è rivoltata contro l’uomo.
La domanda è persino banale: potrebbe accadere anche da noi? La risposta è prevedibile (se no, chi si esporrebbe?): nemmeno per sogno. Quella della Lousiana è una piattaforma di perforazione, ovvero di «costruzione» di un impianto, con tutte le incognite insite in questa attività originaria; quella di Vega è una piattaforma di produzione, nella quale la «fabbrica» è a regime da oltre vent’anni. In Louisiana, il fondo marino è a 1.500 metri di profondità, dove le attività sono possibili solo con i robot, e il pozzo scende poi per altri 3mila metri. A Vega il mare è profondo solo 126 metri («ci si arriva anche in apnea»), poi la perforazione scende per altri 2.800. A Vega, poi, tutto il greggio estratto (circa 4mila barili al giorno), è immagazzinato in una nave ancorata a un miglio e mezzo, collegata da tubature sottomarine, che a sua volta viene regolarmente svuotata dalle petroliere che conducono l’olio alle raffinerie siciliane.
Proprio questa nave cisterna - la Leonis - è l’occasione della visita alla quale Edison ha invitato giornalisti e autorità. Due anni fa l’attività della piattaforma è stata sospesa («con sacrificio economico, visto che in quel momento il prezzo del barile era ai massimi», sospira Umberto Quadrino, numero uno del gruppo energetico milanese) proprio per sostituire questo magazzino galleggiante, che mostrava i segni del tempo. La nuova Leonis è stata acquistata sul mercato, dotata di doppio scafo (come impone la normativa, per evitare rischi di sversamenti) agganciata a una struttura snodabile, detta Yoke, che la trattiene assecondando il moto del mare, tarata su condizioni estreme: onde fino a 18 metri (il record centennale), venti a 100 nodi, scosse di terremoto fino al nono grado Richter. L’investimento è stato di una cinquantina di milioni di euro, 30 per la nave, 15 per il Yoke, il resto per i collegamenti. La piattaforma, serrati i rubinetti dei 20 pozzi, non è mai stata chiusa, perché le manutenzioni di una struttura come questa (nove piani di altezza, attività per 30 tecnici con turni di due settimane) non si possono interrompere. Nella sala mensa su una lavagna bianca è scritto a mano il numero 7.637, e viene aggiornato quotidianamente: sono i giorni consecutivi senza incidenti. Significa che l’ultimo si è verificato oltre vent’anni fa, nel 1989. Il giacimento di Vega dal 1987 a oggi ha prodotto 55,5 milioni di barili di petrolio e si stima che sarà in grado di produrne ancora 12, nei prossimi 10-15 anni. Il valore della produzione ancora attesa è, all’incirca, di 500 milioni di euro, tale da giustificare l’ingente investimento di oggi.

Il gruppo Edison (controllato pariteticamente da A2A e dalla francese Edf) è l’unico operatore italiano a coprire l’intera filiera energetica, dagli idrocarburi all’elettricità, con attività di produzione in sei Paesi che ormai gli attribuiscono, a livello internazionale, lo «status» necessario per partecipare alle gare per nuove esplorazioni per giacimenti di greggio e di gas. E nelle energie rinnovabili, come ha ribadito ieri Quadrino, l’obiettivo è di raddoppiare entro cinque anni i 250 megaWatt che oggi vengono prodotti con eolico e solare.

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