Gli anni di Weimar la democrazia tra Lenin e Hitler

C’è in Italia qualcuno che pubblica testi completamente inediti di Ernst Nolte, vendendo poi i diritti all’estero, Germania compresa. Questo editore si chiama Christian Marinotti, ha sede a Milano e non ha neppure dieci anni di vita. In questi giorni va in libreria La Repubblica di Weimar (pagg. 410, euro 30), ultimo volume di una trilogia noltiana inaugurata nel 1998 con l’uscita di I presupposti del Nazionalsocialismo, e proseguita poi con un saggio (dal titolo vagamente crociano), La storia dell'Europa 1848-1918, apparso nel 2003. La repubblica di Weimar esce quasi contemporaneamente con Herbig, editore di Monaco che ne ha acquisito i diritti.
Come mai? Introducendo uno di questi volumi Sergio Romano ricordava un’annotazione di Benedetto Croce riferita al Sorel delle Riflessioni sulla violenza, in cui si diceva come questi potesse fregiarsi «in Italia di una simpatia e di una notorietà superiori a quelle di cui godeva nella sua patria». Difficile resistere alla tentazione di non dire la stessa cosa di Nolte, dacché Joachim Fest, il 6 giugno 1986, decise di pubblicare sul Frankfurter Allgemeine Zeitung un suo articolo intitolato Il passato che non vuole passare. In quello scritto Nolte si chiedeva provocatoriamente: «L’Arcipelago Gulag non precede Auschwitz? Non fu lo sterminio di classe dei bolscevichi l’antefatto logico e fattuale dello sterminio di razza dei nazionalsocialisti?». Erano le tesi che sarebbero state esposte compiutamente nel suo libro più noto e controverso, La guerra civile europea, 1917-1945, uscito lo stesso anno della caduta del muro di Berlino. Scoppiava così l’Historikerstreit, la polemica storiografica sul passato della Germania che, senza dubbio, le è stata enormemente salutare. Infatti, se si volesse riconoscere un merito a Nolte, al di là del valore scientifico delle sue tesi di filosofia della storia, è certamente quello di aver contribuito, anche in misura involontaria, a stimolare nel suo Paese un coraggioso dibattito sul Novecento, agevolando la nascita di una nuova generazione di studiosi che, per ragioni anagrafiche, non sono stati toccati dagli avvenimenti più drammatici e sono così in grado di fare più serenamente il mestiere dello storico. Per esempio, proprio grazie all’Historikerstreit oggi è possibile leggere delle biografie di Hitler che non hanno nulla da invidiare al pionieristico lavoro di Fest, che aveva ancora il limite di sentire come un obbligo morale il fatto di pronunciare, ad ogni piè sospinto, dei giudizi di condanna che, per quanto comprensibili per un uomo della sua generazione, di per sé non aggiungevano nulla alla conoscenza storica e alla nostra capacità di comprensione del passato. Forse De felice da noi nutriva lo stesso auspicio, ma non si può dire che i risultati siano stati gli stessi.
Tornando al volume che esce in questi giorni, La Repubblica di Weimar è certo il saggio più storiografico della trilogia; per certi versi, in esso incontriamo un Nolte inatteso, che con molta perizia entra nel merito di accadimenti storici limitati nel tempo e nello spazio.

Del resto, non ci si può stupire più di tanto della sua attenzione per un’esperienza politica che ha come terminus a quo la repressione dei consigli operai istituiti a Berlino dagli «spartachisti», sotto la guida di Rosa Luxenburg e di Karl Liebknecht, e quale terminus ad quem l’irrompere al potere di Hitler e del nazionalsocialismo. In altre parole, siamo di fronte ad una fattispecie che certamente si attaglia molto bene alla teoria noltiana della scaturigine del nazismo dalla manifestazione storica del comunismo.

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