Argento: a Parigi scoprii il cinema ma mia madre mi voleva scrittore

Il regista: «Da bambino ero sempre nello studio fotografico della mamma. Le attrici si spogliavano davanti a me e io restavo conturbato da seni e sederi. Quelle sì che erano donne vere»

Cinzia Romani

da Roma

Caro Dario Argento, sua madre Elda Luxardo è stata una fotografa rinomata: l’approccio di lei all’immagine ha influenzato il suo modo di fare cinema?
«Certo. Siccome ero il primogenito di tre figli, con me lei si è applicata di più. Da bambino andavo a scuola al Nazareno, a venti metri dallo studio fotografico di mia madre, in via del Tritone. In pratica, il mio doposcuola lo facevo lì, nel camerino dove si truccavano le attrici. È stata una bella esperienza».
Che cosa ricorda di quei momenti? Si era nel dopoguerra...
«I riti del trucco: mi hanno ossessionato. Mi dava fastidio l’odore del belletto di quelle attrici, che poi usavano una certa libertà, davanti a me. Pensavano che, essendo bambino, potessero svestirsi e rivestirsi in mia presenza, così...».
È stata un’esperienza sgradevole?
«No. Conturbante. All’epoca le donne erano vere: seni e sederi e facce. Era tutto vero, non esisteva la chirurgia e alcune attrici erano molto belle».
Qualche nome di quelle conturbanti bellezze?
«Mi ricordo bene di Lucia Bos軔.
Guardando sua madre lavorare, ha imparato qualcosa fin da piccolo?
«Osservavo, in particolare, il suo modo di disporre le luci. Soprattutto quelle dietro la schiena. All’inizio, sembrava che non ci facessi caso. Ma, a poco a poco, cominciai a farci sempre più caso».
Nel disporre le luci, sua madre si mostrava sicura?
«Sapeva sempre quello che voleva. “Metti la luce qui”. “Guarda l’ombra”. “Sposta tutto”. Non finiva mai di lavorare e tornavamo a casa insieme sempre più tardi. Comunque, io ho la sua stessa determinatezza, sul set».
Delle innumerevoli foto, firmate Luxardo, dei gerarchi del Ventennio e delle loro amanti, spesso attrici, le è rimasto un archivio?
«È andato tutto perduto, perché le fotografie si facevano su una lastra di vetro. Il che conferiva all’immagine in bianco e nero un’aura dolcemente mitologica. Soprattutto emergeva una profondità, nello sguardo, che ancora oggi ricerco».
Che ne è dello studio fotografico di sua madre?
«Veramente era di mio nonno, venuto in Italia dal Brasile (ma era di origine istriana), perché era appassionato di Mussolini. Di studi fotografici ce n’erano due: uno in via Nazionale, che non esiste più, e un altro in via del Tritone. Quest’ultimo lo porta avanti mia cugina Tiziana».
Nei suoi film, in effetti, usa spesso riprese a crudo, utilizzando la luce naturale: gli effetti digitali non le piacciono, o la madre fotografa l’ha influenzata, in questo senso?
«Oggi non si può prescindere dal digitale e, per quanto ami certi effetti “naturali”, cerco di non pensarci troppo. Proprio perché non si possono più ottenere. Mia madre mi ha influenzato di più nella ricerca dell’armonia?».
In che modo?
«Lei m’ha insegnato che una donna, per essere bella, deve avere le spalle piccole, altrimenti il volto rimpicciolisce. Senza che me ne accorgessi, guardando mia madre mettere in posa i suoi soggetti, ho imparato la bellezza del volto femminile».
Le è mai capitato di studiare qualcuno, magari per la strada?
«Continuamente. Qualche tempo fa, in metropolitana, cercavo di captare il colore degli occhi d’una ragazza, davvero interessante. A furia di guardarla, il suo ragazzo a un certo punto si sentì provocato. Mi stava mettendo le mani addosso, gli spiegai che, di mestiere, facevo il regista, perciò “guardavo” la gente. Fu spiacevole, anche se finì a ridere e il tizio mi riconobbe. Ma io ascolto, pure. Annoto certi modi di dire della gente, apparentemente banali. Studio i gesti».
Quand’è avvenuto il suo primo incontro con il cinema?
«Avevo quindici anni, feci un viaggio a Parigi con i miei e scoprii la Cinémathèque: finii col passarci la giornata. Eppure mia madre mi vedeva scrittore».
Da ragazzino faceva bei temi?
«Sì: me li pubblicavano quasi tutti. La scrittura è la mia vera passione, perché è la prima. In effetti, sono stato giornalista, ho scritto poesie, scrivo sceneggiature. Fisicamente scrivo, insomma».
A che cosa sta lavorando?
«Preparo sei film gialli-horror per la tivù. Il primo lo girerò a Torino e avrà, come gli altri, un pizzico di umorismo. Poi girerò, per la tivù americana, un altro episodio della serie Masters of Horror: sono l’unico maestro dell’orrore non Usa. Agli americani è piaciuto il primo episodio della serie, Jennifer, e so che lo trasmetterà anche la Rai. Sempre per la Rai sto preparando il terzo film della Trilogia della Madre. Da maggio girerò un film ambientato a Roma, nell’ambiente della stregoneria contemporanea. Il che significa che passo ore alla Biblioteca Angelica, specializzata in testi esoterici. Di magia e di stregoneria».
Quali libri consulta, in specie?
«I testi di Apollodoro e di Apuleio».
Ma non sono autori classici, da compito in classe al liceo?
«All’apparenza. Ma a saper leggere bene L’asino d’oro, si scopre che si tratta d’un testo esoterico. Poi c’è la gnosi, alla quale m’ha iniziato David Bowie a Londra e tutto quel che riguarda la Maddalena. In Francia, per esempio, tutto è Maddalena.

Ma all’Angelica leggo dal latino, dall’inglese. Dal greco e dal tedesco no: non li conosco bene».
Qual è la sua visione dal futuro?
«Io vedo che le cose vanno sempre peggio. Secondo me in fondo al vicolo ci sono le fiamme».

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