Arriva «Boris», il castiga-fiction

da Roma

La fiction nella fiction. Ovvero: come raccontare il genere rimanendo nel genere. Questo probabilmente il motivo del successo di Boris: la fiction che racconta cosa c'è dietro a una fiction; «divertendosi a svelarne le assurdità, le magagne, le cialtronerie». Attualmente sul set, per andare in onda a maggio su Fox, il canale 110 di Sky, la seconda serie di Boris promette di «continuare nel suo obbiettivo: svelare al grande pubblico i segreti del genere tv più conosciuto - spiega lo sceneggiatore e regista Mattia Torre -; oggi infatti la fiction ha preso il posto della letteratura. È seguita da milioni di persone, potrebbe farsi veicolo di contenuti alti. E invece è spesso realizzata con cinismo, con spregiudicatezza: mirando solo a fare ascolti. E a farli in fretta».
Ambientato sullo sgangherato set di una soap vagamente ispirata all'improbabile mondo di Incantesimo, e intitolata Gli occhi del cuore 2 (anche qui c'è una clinica privata, Villa Orchidea; anche qui medici, infermiere e malati), Boris satireggia sul quotidiano dibattersi d'un variopinto gruppo di addetti ai lavori (lo squinternato regista Francesco Pannofino, il vanitoso divo Pietro Sermonti, le starlette raccomandate Carolina Crescentini ed Eugenia Costantini, l'inflessibile assistente alla regia Caterina Guzzanti) tra mancanza di mezzi e di tempo, dialoghi assurdi, trame sconnesse. E quest'anno, nel cameo del cattivo della storia, c'è anche Corrado Guzzanti. «Volevamo ironizzare soprattutto sulle fiction Rai o Mediaset - spiega Ciarrapico -, cioè su prodotti fatti spesso con la mano sinistra, pensando che il pubblico cui sono destinati sia composto da dementi». Qual è il principale problema delle fiction italiane? «La scrittura - risponde Vendruscolo -; non perché manchino bravi autori. Ma perché sono gli editori, a pretendere sceneggiature omologate, con un forte incanalamento dei contenuti, e quindi senza voglia di novità o di sperimentazione. Non vogliono rischiare: azzeccano un prodotto e lo replicano per anni».
Ma sciatteria e pressappochismo da voi raccontati li avete sperimentati personalmente? «In parte quando scrivevamo per gli altri; in parte da comuni spettatori. Chiunque veda le fiction generaliste si accorge di quanto siano fatte male».

Singolare la posizione di Pietro Sermonti, già protagonista d'una fiction convenzionale come Un medico in famiglia: «La differenza fra quel prodotto e questo è evidente. Lì ero condannato a fare il rubacuori. Qui per la prima volta ho scoperto di poter fare anche ridere», racconta Sermonti.

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