Elisa Caccavale
La frenesia della vita quotidiana ormai ci fa sentire molto spesso come dentro ad una grande tombola: si corre avanti e indietro a causa del lavoro, degli impegni, degli appuntamenti; ogni giorno è scandito dalle ore, dai numeri sui nostri orologi, e a volte, in questo girotondo, anche noi diventiamo sempre di più una serie di numeri: numeri per la fila al negozio, numeri nelle sale d'attesa, numeri per le prenotazioni
e a volte ci piacerebbe riuscire a sfuggire da questo stato di impersonalità.
Ormai sembra destino inevitabile che ognuno di noi se ne vada in giro con il suo numero di appartenenza ben stampato in fronte, magari arrivando al punto di chiamarci anche con quel codice, un po' come la Banda Bassotti.
Uno degli aspetti più controversi di questa allarmante tendenza è che una delle cause sia una legge nata per proteggere l'individuo: la legge sulla privacy.
L'aspetto grottescamente divertente è che questa legge in alcuni ambiti sta assumendo sfaccettature inaspettate e deliranti: ormai è considerata violazione della privacy anche chiamare una persona per nome; il caso specifico avviene nel campo della sanità.
Il ministero della Sanità ha in programma alcune nuove normative che dovrebbero prendere piede nel 2006, che muovono proprio in questa direzione. I cambiamenti non sono rivolti al miglioramento del rapporto medico - paziente, o alla salvaguardia della salute degli assistiti da eventuali sviste o lungaggini amministrative: tutte le norme proposte hanno carattere burocratico, nel senso più comune del termine; se, per esempio, un medico dovesse tralasciare di informare ogni volta un paziente sul suo diritto al trattamento dei dati, anche fosse a causa della fretta per la necessità di svolgere analisi urgenti, o per utilizzare i dati durante un congresso nell'interesse della collettività, rischierebbe una sanzione amministrativa da 3.000 a 18.000 euro aumentate fino a tre volte se inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore.
Secondo la normativa, il medico non potrebbe nemmeno conservare le cartelle cliniche del paziente, strumento indispensabile per svolgere la professione, se non compilando alla perfezione tutte le informative sulla privacy; o ancora dovrebbe richiedere il consenso per l'utilizzo di ogni medicinale, senza tener conto che chi ascolta solitamente non possiede una laurea in medicina, e nemmeno molto spesso in farmacia.
Per questo genere di infrazioni le sanzioni sono sia pecuniarie, da 3.000 a 30.000 euro, sia penali, con reclusione da sei mesi a tre anni.
La proposta ha suscitato grande preoccupazione nell'ambiente della sanità, non tanto per gli adempimenti, in quanto il diritto alla privacy è una vittoria di tutti, quanto per le sanzioni richieste che sono davvero severissime.
Se queste norme dovessero essere attuate così come sono state proposte, si prospettano giorni duri per i medici, che si vedrebbero costretti a lavorare in modo tutt'altro che sereno e a rispolverare i libri di giurisprudenza di qualche avo per non rischiare di sbagliare qualche cavillo.
Dice a questo proposito il dottor Federico Freschi, segretario regionale della FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri): «Il lavoro dei professionisti in genere e dei medici convenzionati in particolare è continuamente ostacolato da norme, burocratiche e non, che nulla hanno in comune con la scienza medica: il budget di spesa, le esenzioni ticket, le note, i piani terapeutici e quant'altro distraggono continuamente il nostro lavoro di clinici verso preoccupazioni sanzionatorie e burocratiche che impediscono alla nostra mente quella lucidità indispensabile, la mancanza della quale può condurre a conclusioni diagnostiche superficiali e ad errori grossolani, enfatizzati dai media come "casi di malasanità". Sono anni che tutti insieme denunciamo questo andazzo e, per tutta risposta, ecco servite queste norme, con relative sanzioni da "tribunale dell'inquisizione"».
Dall'altra parte della proposta si trovano i cittadini, gli utenti del servizio sanitario: tutto ciò difficilmente comporterebbe un vantaggio per l'assistito che andrebbe a perdere sempre di più il rapporto umano con il suo medico (un tempo si parlava con simpatia e quasi con affetto del medico di famiglia e il valore umano era considerato un pregio importante) e inoltre dovrebbero districarsi in prima persona tra quel groviglio di informazioni e codici numerici che farebbero impallidire un principe del foro. In prima persona dovrebbero sacrificare molto del loro tempo per compilare con il medico cartelle cliniche legalmente impeccabili, senza trarre poi un vantaggio in ciò che effettivamente non funziona nel campo della sanità.
Non va poi dimenticato il primo particolare cui si è fatto riferimento: i pazienti non vanno più chiamati per nome, per non ledere il loro diritto alla privacy, ma con un numero, come si fa per la coda ai supermercati.
E tutto questo, all'origine, a causa della legge sulla privacy: certo, quando il signor Rossi che aspetta il proprio turno nella sala d'attesa del medico verrà invitato ad entrare, nessuno dei presenti saprà il suo nome, ma forse avrebbe preferito sentirsi chiamare proprio «signor Rossi» piuttosto che «numero sette».
Ma si sa, la privacy è una cosa sacra. Però non ditelo ai produttori di videofonini.
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