Un’artista inquieta malata di libertà

Chi non la conosce la definisce un’artista folk, ma ìJoni Mitchell è molto di più. È «la signora del canyon», l’unica cantautrice che, in un mondo libertario ma maschilista come quello degli anni Sessanta, abbia rivendicato il suo ruolo di artista e di donna giocando alla pari con Neil Young, James Taylor, Jerry Garcia e persino Bob Dylan e Leonard Cohen.
Una splendida artista, «malata di libertà», come lei stessa si definisce e «dal cuore di cactus» (come scrive in un suo celebre brano) morbido e succoso dentro ma intoccabile dall’esterno. Nata a Fort McLeod, Canada, nel 1943 (stessi luoghi e stessa generazione di Leonard Cohen e Neil Young) Roberta Joan Anderson ha usato le canzoni come passaporto per evadere dalla realtà, per fuggire verso i folk club di Toronto (un ukulele e un disco di Judi Collins nello zaino) poi del Greenwich newyorkese, poi della West Coast californiana prima di conquistare il mondo. «Ho sempre avuto gli occhi stellati - racconta nel libro La signora del Canyon pubblicato da Arcana -; avevo un amico molto creativo e giocavamo al circo. Lui suonava il piano e io danzavo per tutta la stanza». Joni è un personaggio singolare, il primo disco di cui s’innamora è un tema di Rachmaninov. Poi vengono Mozart, Elvis e Chuck Berry che lei rilegge a tempo di folk. Ma le sue vere influenze sono altre: Billie Holiday, Edith Piaf, Stravinskij, Miles Davis, Picasso (non a caso è un’ottima pittrice). «Sfortunatamente gran parte dei miei eroi sono mostri - ha raccontato -; Davis e Picasso sono irrequieti come me. Non ho modelli preferiti, mi nutro di cambiamenti. Ecco perché i miei giri di accordi sono strani. Descrivono le mie emozioni. Seguono una chiave, poi succede qualcosa e tutto cambia».
Una donna forte e fragile al tempo stesso. A Toronto sposa un folksinger squattrinato come lei: si chiama Chuck Mitchell. «L’amerò tutta la vita», dice. Si lasciano dopo un anno: le rimane il cognome, la canzone Last Time I Saw Richard e i soldi per un biglietto di treno verso la California. Qui entra nel «circolo di Bloomsbury» degli hippie, s’innamora di David Crosby (che produce il suo primo album) e ne condivide ideali e notti brave, passa poi tra le braccia di Graham Nash, e il supergruppo Crosby Stills Nash & Young nasce nella casa che Joni ha comprato con i primi diritti d’autore. «Io e Stills cominciammo a cantare una canzone nuova, Helplessly Hoping - ricorda Crsoby -. Nash guardò in alto per dieci secondi, poi cominciò a cantare il resto come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Era come se qualcuno profondamente addormentato ci avesse dato improvvisamente il via».


Joni, eternamente incompiuta nella sua grandezza, ondeggia tra continue fughe dal music business e piccoli capolavori come Clouds, Ladies of the Canyon, Blue; tra pittura, poesia e il volo planato nei più diversi territori musicali, da Mingus con la leggenda jazz Charles Mingus (che morì durante la registrazione) e che spiazzò critica e pubblico (le intenzioni iniziali erano quelle di musicare i Quattro Quartetti di Eliot ma Joni disse : «Sarebbe più facile rifare la Bibbia»), a Hejira, che prese il titolo dal viaggio di Maometto dalla mecca a Medina, da Turbulent Indigo a Taming the Tiger passando per Travelogue, il cd in cui ha rielaborato i suoi classici con la London Synphony Orchestra annunciando l’ennesimo ritiro, «contro la latrina corrotta della discografia», e preparando un nuovo viaggio verso un approdo che non c’è.

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