Cronaca locale

Artisti come funamboli tra passato e futuro

All’Hangar Bicocca al via oggi «Urban Manners» Le opere di una dozzina di giovani talenti in bilico tra scalpitante modernità e tradizione millenaria

«Non parliamone come di una moda: seguo l'arte indiana fin dagli anni Ottanta, quando non faceva tendenza. E non parliamo genericamente di arte orientale. Il colosso cinese e il subcontinente indiano sono due realtà estremamente diverse: l'India è una democrazia, la Cina no». È risoluta Adelina von Fürstenberg. Fondatrice di Art for the world, una Ong che dal '66 promuove l'attività creativa nel mondo, è l'anima di «Urban Manners. Artisti contemporanei dall'India», da oggi all'Hangar Bicocca. Poco più di una dozzina gli artisti indiani chiamati a raccolta, molti dei quali saranno in città nei prossimi giorni. «Il mio auspicio è che stimoli il dialogo tra autori italiani e le personalità indiane invitate», commenta la curatrice. Accompagnandoci alla scoperta di questi artisti, molti dei quali alla loro più importante collettiva della carriera, Adelina von Fürstenberg spiega che «il titolo evoca gli enormi cambiamenti compiuti dall'India negli ultimi anni e il ruolo dell'arte nello sviluppo delle grandi città». Molto prima che attente gallerie nostrane volassero a Bombay alla ricerca di giovani talenti, gli stessi (facoltosi) indiani hanno sostenuto lo sviluppo dell'arte: in una società dove la meritocrazia e il curriculum di studi diventano sempre più importanti, si sono moltiplicati i mecenati indiani dai gusti raffinati, magari appresi a New York o Londra, e propensi non solo a preservare l'immenso patrimonio storico-artistico del Paese ma anche i suoi giovani virgulti. «In India gli artisti sono sostenuti economicamente e molto ascoltati - spiega Adelina von Fürstenberg - svolgono un ruolo attivo nella società». Non c'è allora da stupirsi se visitando la mostra ci si imbatte in opere dallo spiccato accento politico. Tra tutte, quella di Jitish Kallat che rievoca il discorso di Gandhi sulla disobbedienza civile attraverso l'installazione di cinquemila ossa sintetiche a forma di lettere dell'alfabeto. Mentre Bhari Kher scherza sulla rigida divisione in classi creando sculture di animali con disegnato sul capo il bindi, la decorazione portata dalle indiane sulla fronte. Il suggestivo allestimento ideato dall'architetto Uliva Velo ospita inoltre le foto del compianto Raghubir Singh, autore di alcuni degli scatti più significativi sui contrasti di un Paese che solo sessant'anni fa proclamò la sua indipendenza dall'Inghilterra. Se la video art è lo strumento espressivo prediletto dagli artisti contemporanei, gli indiani - in perenne bilico tra una tradizione millenaria e la scalpitante modernità - ne fanno un ottimo uso: temi quali l'urbanizzazione, l'inquinamento, lo sviluppo tecnologico di città come Bangalore che fanno a gara con la Silicon Valley così come il dramma dei poveri di Calcutta sono colti in video-installazioni che, oltre alla rappresentazione della realtà, ne propongono una interpretazione. Quale? Come la dea Kali, che ha molte mani e molte teste, la risposta non è univoca. Sono le sue esasperate contraddizioni a rendere l'India un Paese simbolo della contemporaneità e per questo molto più vicino a noi di quanto immaginiamo.

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