Un assurdo scontro che raggiunse livelli disumani

Sarebbe pretenzioso spiegare senza margine d’errore un avvenimento come la nostra tragedia civile della quale, valga l’espressione topica, si è detto tutto e il contrario di tutto. Ma oltre le passioni politiche che suscitò e suscita, e l’interessata propaganda che la sostenne e la sostiene, esistono evidenti cause oggettive che la rendono di difficile comprensione. È stato detto, e in gran parte è vero, che la Guerra civile è l’ultimo atto dello scontro tra le «due Spagne», la cui gestazione avrebbe avuto luogo agli albori dell’epoca contemporanea, sia che si fissi come punto d’inizio la guerra d’indipendenza o il parlamento di Cadice o la morte di Fernando VII. Altri storici fanno risalire l’origine di questa dicotomia a tempi ancora più lontani: a loro giudizio, l’intero XVIII secolo fu una semina ideologica, e in molti casi fattuale, di due modi di vedere e risolvere i problemi nazionali. Tuttavia, siccome i colori politici non furono sempre gli stessi né la storia fu immodificabilmente identica né l’agire dell’uomo è caratterizzato da una costante coerenza, ma piuttosto dal compromesso e dall’interesse, non è difficile immaginare che le cause si intrecciarono e la frontiera tra le «due Spagne» non ebbe mai i contorni nitidi che la storiografia più semplice e manichea tratteggia né certamente li ebbe il 18 luglio del 1936, anche se così li presentò poche settimane dopo. Da qui discendono i problemi che lo storico si trova ad affrontare: quali furono i partiti (ci riferiamo naturalmente ai militanti e ai simpatizzanti, non ai quadri dirigenti), le classi, le istituzioni, le associazioni, le corporazioni professionali che parteggiarono per una delle «due Spagne»; fino a che punto e a che livello ciascuno di essi prese posizione; quali furono, per gli schieramenti rivali nel loro insieme e per ognuno dei gruppi all’interno, le cause determinanti ai fini della scelta; nell’accendersi del conflitto, quanto peso ebbero le vecchie polemiche del XIX secolo e i duri scontri politico-sociali e ideologici avvenuti sotto la dittatura e il regno di Alfonso XIII rispetto al radicalizzarsi delle posizioni nei cinque anni della Seconda Repubblica, contrassegnati da un crescendo di azioni e reazioni. A questi problemi di carattere nazionale occorre aggiungere l’influenza che esercitò l’internazionalizzazione della guerra nell’organigramma delle due parti in lotta e quelle che potremmo chiamare questioni di ordine morale, presenti ancora oggi come l’ombra di un fantasma: «fu impossibile la pace?», «ci furono ragioni sufficienti per scatenare la guerra?» e, in caso affermativo, «è giusto attribuire lo stesso grado di colpa ai due contendenti?». È evidente che la risposta a tutti i quesiti formulati necessita di una quantità enorme di pagine e si colloca tematicamente nell’ambito della sociologia, ma quand’anche si assumesse la prospettiva storico-politica, non spetterebbe a noi un’analisi a tutto campo di tali questioni poiché ci approprieremmo indebitamente di competenze appartenenti agli studiosi delle epoche precedenti a quella in oggetto. Malgrado ciò, ci sentiamo obbligati a esporre brevemente i più importanti fattori prebellici, esplicativi delle domande poste in precedenza. Sono i fatti, gli atteggiamenti e le idee fondamentali che si produssero nell’anteguerra - senza per questo credere a una causalità deterministica che leghi gli uni agli altri - a fornire al lettore utili strumenti di giudizio. La sola considerazione di fondo che ci permettiamo di proporre è la radicale negatività di un popolo davanti a se stesso e alla storia, fatte le debite eccezioni individuali e assommate tutte le motivazioni reali possibili. È eticamente ingiustificabile il vicendevole proposito di annientamento totale dell’avversario. Come vedremo, la repressione non risparmiò anziani, donne e bambini in nessuna delle due «zone». Il crimine, la tortura e il genocidio oltrepassarono a tal punto i più elementari principi di umanità da rendere inammissibili le giustificazioni addotte dai governi di ambo le parti per gli abusi che si verificarono nei primi momenti del conflitto. Di fronte alla storia e all’umanità, è intollerabile aver mantenuto una carica politica in seno a governi che si dimenticarono completamente di far rispettare il diritto vigente, perseguire i colpevoli, cercare i responsabili, punire i criminali. Anzi, si può dire che chi si distinse di più nel ruolo di sterminatore, godette in molti casi di maggior prestigio e peso politico o militare nella sua «zona». Esprimiamo questo giudizio sapendo perfettamente di non acquistarci il favore del lettore interessato alla nostra Guerra civile. Nessuno, infatti, ammette facilmente di non essersi schierato dalla parte giusta (sia oggi sia in proiezione retrospettiva), soprattutto se non ha trovato motivi per dubitare della propria scelta in una bibliografia che ha narrato la storia secondo esigenze e desideri confacenti alle prospettive più antitetiche.

In questo modo, tutti noi ci siamo potuti sentire parte dello schieramento moralmente vincente.
* Ordinario di Lingua Spagnola nella Facoltà
di Lingue e Letterature Straniere
dell’Università degli Studi di Genova

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