A motivazione del gesto di Massimo Tartaglia se ne sono sentite di tutti i colori: l’atto inconsulto di uno squilibrato, la rivalsa di un meridionale contro la quintessenza della lombardità, la lotta proletaria contro il padrone, un gesto di creatività dissacrante e via vaneggiando.
C’è chi cerca di minimizzare, chi ne fa invece una tragedia, e anche chi ritiene il gesto un coerente atto politico, quasi la continuazione della lunga linea rossa che collega i tanti attentati della storia rivoluzionaria. È un tratto tipico di certa sinistra quello di personalizzare il nemico, di farne un obiettivo singolo, quasi si voglia anche fisicamente colpire l’individualità e sottolineare l’isolamento del despota dalla coralità della forza popolare.
L’attentato alla persona è un atto rivoluzionario, chi aggredisce e uccide il tiranno diventa una nobile icona della sinistra rivoluzionaria.
La sua storia ne è piena.
I primi eroi di riferimento della Rivoluzione francese sono stati gli assassini di Cesare. A Bruto sono stati eretti monumenti, il suo pugnale è diventato metafora di vendetta popolare, strumento simbolico e salvifico di libertà.
A esso si sono ispirati tutti gli eroi rivoluzionari, tutti gli anarchici che hanno assalito e assassinato re e regine, presidenti e potenti. L’elenco è lunghissimo e penetra anche le vicende risorgimentali. Mazzini è stato il più grande istigatore e produttore di attentatori dell’intero Ottocento.
Tanti di loro sono diventati icone patriottiche solo perché stavano dalla parte vincente: hanno monumenti e dedicazioni stradali per avere fatto con più successo e abilità professionale quello che ha tentato il Tartaglia. Alla vedova di Felice Orsini (il fallito attentatore di Napoleone III) Cavour aveva fatto avere un vitalizio; alle sorelle di Agesilao Milano (che aveva tentato di fare fuori Ferdinando II di Borbone) Garibaldi ha attribuito una pensione.
Wilhelm Oberdank, che aveva tramato per abbreviare la vita di Francesco Giuseppe, è stato italianizzato in Guglielmo Oberdan ed è diventato uno dei più fulgidi eroi della patria.
Tutti quelli che hanno cercato di fare la pelle a Mussolini sono diventati affettuosi feticci della sinistra, dal povero Anteo Zamboni a Violet Gibson che lo aveva colpito al naso rendendo popolare la foto del duce poco marzialmente incerottato.
I massimi eroi della sinistra contemporanea sono i gappisti che hanno pistolettato Giovanni Gentile e tanti altri. Ai loro nipotini delle Brigate rosse non è toccata in sorte la beatificazione solo perché gli esiti politici non sono stati quelli da loro sperati. Per loro però ancora oggi battono tanti cuori: ovviamente a sinistra, dov’è il cuore.
Certo la storia ha conosciuto anche attentatori reazionari ma si è sempre trattato di isolati spinti da ragioni personali come Carlotta Corday, che pugnalò Marat, o da pulsioni individuali come Antonio Pallante, che ha sparò a Togliatti. Nessuno di loro è entrato nel pantheon della destra. Solo i fascisti romeni della Guardia di ferro avevano santificato tre attentatori - i «nicadori» - ma in un contesto molto anomalo, ambiguo e balcanico.
Eppure il teorizzatore più lucido e noto dell’uccisione salvifica del tiranno è stato un reazionario dallo straordinario pedigree, Joseph de Maistre, che aveva scritto che il migliore dei sistemi istituzionali possibili era la monarchia assoluta «temperata dal regicidio».
I sinistri allargano il tiro, non fanno distinzione fra i diversi tipi di potenti: quelli per nascita, per conquista, per ideologia, fino a comprendere quelli per elezione. Se non sono scelti da loro, i capi diventano infatti tiranni, manipolatori di consenso, persuasori occulti, corruttori della collettività.
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