«Attenti, non è un capo fazione»

da Roma

«Basta scambiare la Costituzione immaginaria con quella reale, per tirare la giacca a Napolitano», il lodo Alfano «può essere criticato anche duramente, ma non per questo diventa illegittimo». Giorgio Tonini, esponente dell’esecutivo Pd e ascoltato consigliere di Walter Veltroni, respinge senza esitazioni gli attacchi al presidente della Repubblica per la firma allo «scudo processuale» per le alte cariche.
Senatore Tonini, il direttore dell’Unità, giornale assai vicino al Pd, e il vostro alleato Di Pietro contestano quella firma.
«Napolitano è persona di grande moralità, equilibrio e saggezza, e pochi come lui possono gestire passaggi delicati come quello che viviamo. La Costituzione peraltro non affida al Presidente alcun giudizio di merito sulle leggi, ma un visto di legittimità. Solo un’incostituzionalità palese del testo potrebbe spingerlo a rinviarla al Parlamento, e attenzione: solo a rinviarla, perché poi il Parlamento potrebbe anche riapprovarla così com’è».
Sia Padellaro sia Di Pietro chiedono però al Presidente di farsi carico del «disagio» di una parte dell’opinione pubblica.
«Sarebbe un grave errore, e un enorme danno, se il presidente venisse percepito come un uomo di parte che forza i suoi giudizi di legittimità in base a orientamenti politici: verrebbe meno un prezioso punto di equilibrio. È sbagliatissimo chiedere al capo dello Stato di mostrarsi un capo fazione fino a forzare la sua funzione istituzionale. E poi starei molto attento a evocare l’opinione pubblica come fanno loro...».
In che senso, senatore Tonini?
«Sbaglia chi si erge a rappresentante del sentire popolare. Sul rapporto tra giustizia e politica, l'elettorato italiano è molto diviso: leggessero la rigorosa indagine di Ilvo Diamanti, che registra non solo l'ulteriore riduzione di popolarità della magistratura, ma anche la sensazione largamente maggioritaria che sia un ordine fortemente politicizzato e poco sereno. Una sensazione prevalente non solo nel centrodestra, sottolineo, ma anche a sinistra».
Di Pietro però non smette di cavalcare il giustizialismo e di attaccare il capo dello Stato.
«Mi pare che la sua battaglia abbia l’unico obiettivo di intercettare pezzi di elettorato Pd, senza curarsi dei costi per il sistema. Non mi pare un buon modo di fare opposizione e di lavorare per la democrazia. Io ho votato convinto contro la legge Alfano, che contiene molte incongruenze e risente della fretta con cui è stata varata. Resta un dubbio sull’opportunità di una sua copertura attraverso legge costituzionale, e sarebbe certo stato più opportuno ragionare di scudo verso eventuali abusi giudiziari in modo più pacato e non in rapporto così evidente con le vicende di Berlusconi, in un clima costituente. Ma non per questo la giudico illegittima, in base a una Costituzione più immaginaria che reale».
Intanto vicende giudiziarie o di malcostume giornalistico stanno colpendo anche il Pd: dall’arresto di Del Turco al caso Tavaroli. Come incidono sul vostro atteggiamento?
«Il nostro stile non cambia: esprimo la mia ammirazione per l'equilibrio con cui Del Turco ha reagito a una prova così difficile. E la protesta di Fassino contro le calunnie riportate da Repubblica non intacca la fiducia nella libertà di stampa. Da una parte però c’è un abuso del diritto di cronaca che lede la rispettabilità delle persone, dall'altra una sproporzione tra l'arresto e la fondatezza di accuse tutte da dimostrare. E questo finisce per costituire combustibile prezioso per chi nel centrodestra vuol condurre campagne contro la magistratura e la libertà di stampa.

Eventuali errori giudiziari porterebbero clamorosi argomenti a chi vuol ridurre l'autonomia dei magistrati. Che, come i giornalisti, devono ricordarsi che la libertà è un concetto inscindibile dalla responsabilità, e l'uso irresponsabile della libertà porta storicamente a una sua restrizione».

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