Avanza l’epidemia di rabbia Allarme in tutto il Nord Italia

EMERGENZA Sei diagnosi in Friuli, novantotto in Veneto e tre in Alto Adige

Se lo scorso anno la rabbia era una minaccia incombente sul nord Italia, ora questa antichissima malattia comincia a fare veramente paura. E qui siamo di fronte a una patologia seria non a uno di tanti virus fantasiosi, dalla «suina» alla Sars, il cui unico esito è quello di far gridare «al lupo, al lupo» con le conseguenze che tutti conoscono.
Il virus della rabbia, come quello del vaiolo o della polio, come ho scritto sopra, è un virus di quelli seri e, di questa malattia, che nei primi tre mesi dell'anno ha visto un'impennata di casi nel Triveneto, si parla troppo poco. Per questo motivo, visto anche il sopraggiungere della stagione estiva con il conseguente movimento turistico, bene ha fatto l'Ordine dei Veterinari di Milano a sollevare il problema della vaccinazione consigliata o obbligatoria anche nelle regioni che non sono state ancora interessate dal fenomeno, ma che sono confinanti con quelle colpite.
Senza lodarci troppo possiamo dire di essere stati buoni profeti, quando, a fine ottobre scorso, abbiamo raccolto la preoccupazione degli abitanti di Udine che hanno visto il comparire della malattia a pochissimi chilometri dal centro della città. Da quel momento, i casi hanno cominciato a moltiplicarsi soprattutto nelle volpi che sono l'anello di congiunzione tra la rabbia cosiddetta silvestre e quella urbana. Gli anelli della catena che congiungono le due forme di malattia, mettendo a serio repentaglio la vita umana, sono soprattutto il cane e il gatto, anche se non si deve dimenticare, che il virus della rabbia non fa sconti a nessuna specie, infettando e causando la malattia praticamente in tutte le specie di mammiferi esistenti.
Il quadro epidemiologico della malattia ha subìto dunque un veloce deterioramento a partire dalla fine dello scorso anno. In Italia si è cominciato sommessamente a parlare di rabbia negli ultimi mesi del 2008, dopo 13 anni di assenza della malattia. Nel corso del 2009, dagli 8 casi dell'anno precedente, si è passati alla diagnosi di 68 casi, mentre soltanto nei primi tre mesi del 2010 siamo a ben 107 casi, così suddivisi: 6 in Friuli, 98 in Veneto e 3 in Trentino Alto Adige. Nel novembre del 2009 il ministero della Sanità ha emanato un decreto di vaccinazione obbligatoria per cani, gatti e furetti (le specie più a contatto con l'uomo), che interessa il Friuli, metà Veneto e una piccola parte del Trentino, tenendo conto della localizzazione geografica dei casi diagnosticati (la maggior parte nelle zone verso Austria e Slovenia). Manovra poco incisiva per molti operatori sanitari, me compreso.
Carla Bernasconi, presidente dell'Ordine dei veterinari di Milano, scrive. «Tenendo conto dei dati diffusi, la propagazione della malattia è stimabile in 50 km/anno e riteniamo fortemente consigliabile la vaccinazione anche in regioni che confinano con quelle colpite dal fenomeno morboso».


In effetti, considerati le imponenti masse di turisti, che si muovono spesso assieme ai loro animali in queste aree e il coinvolgimento di specie con cui l'uomo può venire, per un motivo o per l'altro, a stretto contatto (capriolo, cavallo oltre a cane e gatto), la diffusione di informazioni sulla prevenzione della malattia presso la pubblica opinione e un deciso incremento delle vaccinazioni pare auspicabile, prima che si chiuda la stalla a buoi fuggiti.

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