«Aziende italiane ai vertici nell’hi tech»

da Milano

Pasquale Pistorio è il manager che ha trasformato una media azienda italiana di microelettronica, la Sgs, nel terzo gruppo mondiale dei microchip: St Microelectronics, colosso hi-tech da 10 miliardi di dollari di fatturato. La società italo-francese (il 50% della holding che la controlla è della Cassa depositi e prestiti e di Finmeccanica) nei giorni scorsi ha concluso un accordo con la svedese Ericcson dal quale viene fuori il primo gruppo mondiale nei microchip per la comunicazione mobile. D’ora in poi, tutti i nuovi telefonini, eccetto Motorola, avranno un «cervello» fornito da Stm-Ericcson. È solo un esempio del successo nei mercati mondiali dell’industria avanzata italiana. A Pistorio, che dell’innovazione nella sua carriera ha fatto una missione, il Giornale ha chiesto di spiegare le eccellenze dell’industria italiana high tech.
Ingegnere si parla di declino industriale, ma nei settori più avanzati l’Italia sembra andare forte.
«C’è grande dinamismo nelle aziende tecnologiche italiane. Non penso solo a Stm, ci sono esempi di alta tecnologia dappertutto. Guardiamo al settore aerospaziale con Alenia e ai sistemi ferroviari con l’Ansaldo, che fanno accordi in tutto il mondo, o alle aziende meccaniche come Ferrari, Brembo, Piaggio... o anche realtà meno conosciute ma di assoluta rilevanza, come il polo della meccatronica (robotica e automazione industriale, ndr) in Emilia Romagna».
Cos’è che rende le aziende italiane competitive?
«Diversi fattori giocano a favore dell’industria italiana avanzata, ma soprattutto la capacità imprenditoriale diffusa e un’abbondanza di cervelli a basso costo».
Ma non era alto il costo del lavoro in Italia?
«Il costo del lavoro intellettuale è tra i più bassi d’Europa. Un ingegnere assunto al centro di ricerca Stm di Agrate guadagna il 30% in meno di un suo collega di Grenoble e uno di Catania ancora meno. E la formazione italiana è buona, ci sono università e centri di ricerca, anche al Sud, di grande eccellenza».
Quali sono le cose che invece non funzionano?
«Siamo ancora carenti nelle infrastrutture e ci sono ancora troppi vincoli burocratici per le imprese. Inoltre, bisogna fare di più nella ricerca e nell’innovazione. La legge finanziaria 2008 ha previsto, per la prima volta, un credito d’imposta del 10% sulle spese di ricerca delle aziende, uno del 40% sulle commesse date ai centri di ricerca pubblici e la riduzione degli oneri sociali per tre anni alle start up, le nuove imprese. Spero che si prosegua su questa strada e si faccia di più. L’Italia alla spesa di ricerca e sviluppo destina l’1,1% del Pil, contro il 2% della media europea, il 2,6% degli Stati Uniti, il 2,6% del Giappone».
Situazione italiana a parte, la congiuntura economica appare difficile. Secondo lei quando si uscirà dalla crisi?
«Credo che ci saranno ancora 3 o 4 trimestri difficili. Ma questa non è solo una crisi ciclica, è anche strutturale. Con lo sviluppo delle economie emergenti di Cina, India, Brasile, ci siamo trovati con un miliardo di persone in più che mangiano meglio, guidano la macchina e via dicendo. Questo crea tensioni sui prezzi e soprattutto su quelli dell’energia. È un problema che si risolve innanzitutto puntando sull’efficienza.

È un impegno fondamentale. Guardi io sono un fanatico del risparmio energetico: in Stm negli ultimi 10 anni abbiamo ridotto i consumi della metà, con 200 milioni di dollari l’anno di risparmi nel conto economico solo nel 2007».

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