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Scritture contabili, per quanto tempo conservarle

Non tutte le scritture contabili sottostanno al medesimo principio di conservazione. Ecco una guida per evitare di essere sanzionati

Scritture contabili, per quanto tempo conservarle
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Le scritture contabili hanno un doppio valore. Consentono di allestire una contabilità reale e ordinata, diventando così uno strumento prezioso per l’imprenditore che può farne uso per misurare lo stato di salute della propria azienda e per pianificarne il futuro. Oltre a ciò, sono lo strumento con cui possono essere provati fatti in caso di dispute commerciali, fiscali o societarie.

Non tutti gli imprenditori sottostanno agli stessi obblighi contabili e, di conseguenza, sono variabili anche gli obblighi di conservazione dei documenti. Cominciamo quindi con i principi generali.

Chi ha l’obbligo di conservare le scritture contabili?

Il principio è semplice: hanno l’obbligo di conservare le scritture contabili gli imprenditori commerciali, ossia quelli che possiedono imprese di medie o grandi dimensioni che:

  • Producono beni o servizi
  • Trasportano merci o persone
  • Esercitano attività bancarie, finanziarie o assicurative
  • Commerciano o intermediano commerci
  • Che svolgono attività in favore di altre aziende

Categorie di imprese descritte dall’articolo 2195 del Codice civile. Il medesimo codice descrive, agli articoli 2083 e 2202, quali imprese non sono tenute alla conservazione delle scritture contabili. Tra queste, figurano i piccoli commerci, gli artigiani, i coltivatori diretti e tutti quegli imprenditori che svolgono attività manuali i quali, tuttavia, possono essere assoggettati all’obbligo di avere una contabilità secondo requisiti specifici che vedremo.

Quali scritture contabili conservare

Chi ha l’obbligo di tenere una contabilità ha anche il dovere di conservarla. Ciò significa che il giornale, l’inventario e il bilancio devono essere riproducibili su richiesta.

Oltre a questi documenti sottostanno all’obbligo di conservazione anche:

  • Il libro di cassa
  • Il libro di magazzino
  • Il libro mastro
  • I libri sociali, che includono anche le riunioni e le decisioni prese dai collegi sindacali, dalle assemblee e dal consiglio di amministrazione, così come sancito dall’articolo 2421 del Codice civile.

Tutte le lettere, le fatture e altra documentazione relativa ai commerci condotti dall’impresa devono essere egualmente conservate.

La conservazione per il fisco

Oltre ai documenti già citati, occorre anche che l’impresa ne conservi altri di particolare rilevanza fiscale. Tra questi:

  • Il registro dei beni ammortizzabili che includono sia i beni materiali sia quelli immateriali (come i brevetti)
  • I registri ai fini dell’Iva, ossia le note contabili dell’Iva pagata in fase di acquisto e di quella fatturata
  • I registri del magazzino, nel quale vanno riportate tutte le merci in stock e quelli in corso di lavorazione

Per riassumere, gli imprenditori di aziende medio-grandi devono avere una contabilità dettagliata anche nelle sue appendici analitiche (per esempio, che tengano traccia di tutti i rapporti commerciali con fornitori e clienti).

Ci sono dei casi nei quali anche in piccoli imprenditori sottostanno a obblighi simili.

I piccoli imprenditori

In apertura abbiamo scritto che i piccoli imprenditori non sottostanno all’obbligo di conservazione dei documenti contabili, fatte salve alcune condizioni. Infatti, i piccoli imprenditori non devono conservare il libro giornale e il libro inventari a meno che non fatturino più di 400mila euro l’anno (imprese di servizi) o più di 700mila euro l’anno (imprese commerciali). Per quanto riguarda i registri Iva e i registri degli ammortamenti vige comunque l’obbligo di conservazione a prescindere dal fatturato, così come descritto dall’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973.

I tempi e i modi della conservazione

Le scritture contabili vanno conservate per 10 anni anche se l’impresa, nel frattempo, ha cambiato proprietà oppure non è più attiva. Trascorsi i 10 anni nessuno può più contestare l’assenza di documenti.

Si tratta di un termine che può diventare più lungo se, allo scadere, sono in corso accertamenti di ordine tributario. In questo caso la contabilità deve essere conservata fino alla fine di tali accertamenti, anche se ciò coincide con il dovere mantenere le scritture contabili per un periodo superiore ai 10 anni.

Le scritture possono essere conservate anche in formato digitale ma devono essere fedeli a quelle cartacee e devono essere riproducibili in qualsiasi frangente.

Le sanzioni

Non essere in possesso dei documenti contabili prevede delle sanzioni di diverso ordine.

Dal punto di vista tributario, la mancata conservazione può avere queste conseguenze:

  • Sanzione amministrativa di 516 euro se è tale da non rendere inefficace l’accertamento fiscale
  • Sanzione amministrativa da 1.032 a 7.746 euro se si tratta di omissioni gravi
  • Sanzione amministrativa da 2.065 a 15.493 euro se si tratta di documenti relativi a all’Iva superiore all’importo di 51.645,60 euro per esercizio fiscale.

Ci sono anche conseguenze penali perché, per il legislatore, la mancata conservazione delle scritture contabili coincide con l’occultamento della contabilità, cosa questa che rende impossibile la ricostruzione del giro d’affari, dei versamenti Iva e degli utili conseguiti da un’impresa. In questo caso l’imprenditore può essere passibile di una pena detentiva da sei mesi a cinque anni.

Inoltre, laddove l’imprenditore non è in grado di mostrare le scritture contabili, viene meno la possibilità di ricorrere a un concordato preventivo che consente alle imprese in difficoltà di trovare un accordo con i creditori al fine di evitare il fallimento.

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