Luciano Gulli
Può essere che abbia ragione Moafaq Al Rubai, consigliere per la sicurezza nazionale irachena, quando dice che lobiettivo dei terroristi era quello di dare lassalto allalbergo e prendere in ostaggio dei giornalisti stranieri. E che «solo il coraggio e la prontezza dei nostri soldati
» eccetera eccetera. Ma può anche darsi che gli uomini di Al Zarqawi abbiano inteso solo chiudere una volta per tutte il «covo» della stampa estera, che al «Palestine» aveva nidificato dai tempi della guerra (quella che nella primavera di due anni fa George Bush disse che era finita e poi si è visto che non era vero). Resta il fatto che lhotel «Palestine», da una delle cui stanze seguimmo in diretta labbattimento della statua di Saddam Hussein, sulla piazza del Paradiso, non cè più. Resta il palazzo, beninteso, anche se lingresso è completamente devastato. Ma ora che se ne è certificata lassoluta insicurezza, nonostante le barriere di cemento armato, il filo spinato e i carri armati Usa di guardia, quellalbergo diventerà solo un caro ricordo, per noi che ci abbiamo passato stagioni.
Che ci avrebbero provato, del resto, era sicuro. Già ai tempi delle elezioni, nel gennaio scorso, quando rapirono Giuliana Sgrena, la nostra intelligence ci aveva avvertito, consigliandoci di levare le tende. «Si prepara un colpo di mano diretto contro i giornalisti, questo dicono le voci
», ci era stato detto. Ma quella duplice barriera di armadi di cemento che circondavano quel patetico avanzo di albergo che una volta era stato un «Meridien», e il filo spinato, e la cosiddetta security, affidata agli iracheni ma supervisionata dai marines: insomma, tutto questo po po di bunker ci aveva convinto che cera dellesagerazione; o forse era solo un modo, ci dicemmo, per far vivere agli uomini della nostra ambasciata (senza la croce dei giornalisti tra i piedi) giornate più serene.
Gli uomini di Zarqawi ci hanno messo un po di tempo per organizzare il colpo, ma ieri ci sono riusciti. Sono bastate due autobomba e un camion betoniera farcito di tritolo (e tre ragazzi decisi alla guida dei mezzi) per polverizzare gli ostacoli di cemento armato e mandare il camion a esplodere dritto davanti allingresso dellhotel.
Il suddetto Al Rubai parla di «una decina di terroristi» che dopo le tre esplosioni avrebbero tentato di fare irruzione nellalbergo, respinti dal fuoco di americani e iracheni. Ma fonti indipendenti che confermino il fatto non ce ne sono. I testimoni oculari hanno riferito solo delle tre esplosioni, e dei tre kamikaze che hanno approfittato dellallentamento della vigilanza allora dell«Iftar», il pasto serale che segna la fine del quotidiano digiuno durante il Ramadan. Il bilancio, provvisorio come sempre, è di 20 morti e una quindicina di feriti. Fra questi, due cameramen dellAssociated Press e tre fotografi che si trovavano nei pressi dellingresso del «Palestine». Gli unici due giornalisti italiani presenti a Bagdad erano lontani dal luogo dellattentato e stanno bene.
Una prima autobomba, hanno raccontato i testimoni, è stata fatta esplodere dallaltro lato della piazza del Paradiso, sul fianco sinistro della moschea Al Firdus. Una manovra diversiva, è parso di capire, intesa a dirottare lattenzione dei marines che pattugliano in permanenza la piazza. A quel punto, un secondo «martire» è spuntato dal viale Saadun e si è lanciato contro la barriera di cemento che, dalla piazza, impedisce lingresso nel tratto di strada che separa il «Palestine» dallo Sheraton, dove alloggiano quasi esclusivamente militari Usa. Aperto il varco, ecco sopraggiungere il camion bomba che è andato dritto a esplodere davanti allingresso del «Palestine». Facile, tutto sommato.
Lassalto degli «incursori di Allah», a caccia di giornalisti, sarebbe avvenuto subito dopo, quando la scena, tra fiamme e detriti, era avvolta da un denso polverone. Vittime e feriti sono dipendenti dellalbergo, e addetti alla sicurezza.
Finisce così, nel dramma di unaltra giornata sanguinosa che conta altri 5 morti iracheni nellattentato di una raffineria e un militare Usa ucciso dallo stesso gruppo che rapì e massacrò Enzo Baldoni, la tregua promossa da Al Zarqawi a cavallo del referendum del 15 ottobre. Consultazione i cui risultati continuano a slittare, mentre allorizzonte si profila già la prevista bagarre, con i sunniti che denunciano brogli elettorali e sono pronti a vanificare il risultato delle urne.
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