Bagnasco: «Vogliono una Chiesa che rimanga chiusa in chiesa»

Il cardinale ai diecimila che lo applaudono: «Noi non siamo soggetto politico, diamo voce al popolo»

dal nostro inviato a Rimini

«La storia siamo noi». Con un po’ di Minoli e molto De Gregori, il presidente dei vescovi italiani Angelo Bagnasco ha voluto puntualizzare che la Chiesa non rimane chiusa in chiesa. «Nessuno si senta offeso», ma i cattolici alzano la voce. E lo fanno da quella che è la casa di molti di loro, quel Meeting di Comunione e Liberazione giunto alla XXIX edizione. Da quel palco Bagnasco, il cui discorso inaugurale è stato più volte interrotto dagli applausi di diecimila spettatori, ha ribadito il diritto della Chiesa a «partecipare alla vita politica nel segno della democrazia e della verità, perché i vescovi danno voce al proprio popolo».
Un discorso deciso, teso a criticare il secolarismo europeo «poco cristiano» che «dimentica il passato e costruisce una storia senza Dio e contro l'uomo» e a rivendicare «la dimensione pubblica della fede», troppo spesso relegata alla sfera personale. Un Bagnasco determinato (con tanto di «dobbiamo crederci!» finale) che si scalda quando ricorda «i cattolici ai quali si chiede di prescindere dal proprio credo», perché si vuole «una Chiesa che rimanga in chiesa».
Se per voce del presule i cattolici si candidano - come ha voluto ricordare lo stesso Papa Benedetto XVI nel suo messaggio di saluto al Meeting - a essere «protagonisti», anche il partito a più esplicito richiamo cattolico torna alla ribalta dello scacchiere politico. Neppure il tempo di dare fuoco alle polveri del Meeting di Cl che l’Udc fa capolino nei discorsi dei leader di centrodestra presenti a Rimini. Palestra di alleanze, laboratorio di accordi, quest'anno il Meeting potrebbe essere culla di un ritorno al passato, con il movimento di Casini di nuovo insieme al Pdl: «Non è un’occasione da perdere», lo incita Maurizio Lupi. «Se - come credo - ci sono valori comuni, l’alleanza è necessaria», rincara il ministro Sandro Bondi.
Insomma, l’Udc a Rimini non ha ancora fatto capolino eppure nella maggioranza tutti ne parlano e tutti la vogliono, nonostante la rottura pre-elettorale sia stata sanguinosa: «Questioni politiche, non di valori», glissa il titolare dei Beni culturali, che in clima con l’ecumenismo del Meeting apre anche al Pd: «Veltroni aveva fatto una scelta coraggiosa correndo solo. Poi, per limiti culturali, si è alleato con Di Pietro. Ma se abbandonassero la propaganda e ci confrontassimo sui contenuti faremmo sicuramente buone cose». Questo nonostante quello che Bondi giudica il peccato originale del Partito democratico: «Ha perso il contatto con la realtà, mistifica il passato e non ascolta le esigenze dei suoi elettori. Anche loro hanno bisogno di sicurezza, meritocrazia e giustizia, ma se le proponiamo noi parlano subito di fascismo. Non è serio».
Insomma, i temi sul tavolo ci sono tutti. Ne manca solo uno, che tiene banco nelle retrovie dell’agone politico. È il federalismo, quel concetto sempre meno astratto che il ministro per le Riforme Umberto Bossi aveva dichiarato di voler «spiegare» al cardinal Bagnasco. Lui, il numero uno della Conferenza episcopale, ha replicato di essere disponibile: «Ben volentieri, ma solo se è una misura complementare. La Chiesa non è un soggetto politico, ma è interessata alla “res publica”. E anche sulle priorità del governo il porporato ha espresso la preoccupazione «per le difficoltà degli italiani su casa e lavoro».
Il federalismo ha occupato anche i pensieri dei governatori di Veneto e Lombardia Giancarlo Galan e Roberto Formigoni, che ieri si sono incontrati a margine del Meeting. Una riunione mattiniera e un nuovo incontro nel pomeriggio per discutere della riforma dell'amministrazione pubblica in senso federalista: «L’identità di vedute tra noi è totale - spiega Galan -.

E in particolare apprezziamo l'eliminazione del concetto di spesa storica». Stesso ottimismo da parte di Formigoni, che però chiede «misure supplementari» e si ricandida alla guida della Regione: «Ne ho parlato con Berlusconi, il nome per il centrodestra sarà ancora il mio».

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