Bai, il 5 maggio come cinquant’anni fa

Max Marteau

«Di canti di gioia, di canti d’amore...»
Cantiamo tutti, anzi urliamo, le parole dell’inno goliardico magistralmente eseguito dall’orchestra in buca dal maestro Umberto Borsoi in quel lontano maggio 1956.
È la «prima» di «Come, Quando, Fuori, Piove», ovvero del nuovo ciclo della Compagnia Goliardica Mario Baistrocchi al teatro Duse, esauritissimo. Tutto l’organico di compagnia è schierato dietro il sipario ancora chiuso, in sala, tutti in piedi per doveroso rispetto, molti si uniscono alle nostre voci. Sono i baistrocchini di ieri accorsi in forze a passare il testimone alla nuova generazione.
Finisce l’inno, si apre il sipario, i nostri cuori battono a mille per un debutto incerto ma storico; un autentico boato ci arriva dalla platea, poi carta igienica, verdure varie con abbondanza di finocchi, ma anche qualche fiore. È la «prima» della Bai, tutto come da copione, ma quanta emozione. Siamo in scena, ce l’abbiamo fatta! Marcello Simoni, il direttore e Cesare Penna, il general manager, tirano un sospiro di sollievo. Ma per arrivarci...
In quello spettacolo messo su a mosaico su testi di G. Bianchi, G. Cozzo e Paolo Villaggio ci sono gruppi ben definiti che provano separatamente per essere amalgamati alla prova generale. Non c’è regista, caso unico nella storia del teatro! Nel gruppone della prosa (in totale sono 18, un vero record) ci sono dei dilettanti che hanno già respirato la polvere del palcoscenico: è il caso di Piero Campodonico, Nico Balducci, Lucio D’Ambra, Franco Famà. Nomi che hanno poi avuto un loro ruolo nel mondo dialettale genovese. E non bisogna dimenticare i gruppi musicali, tra jazz e «barbons», ed un certo Fabrizio De Andrè che iniziò proprio dal Duse e da quello spettacolo la sua inimitabile carriera artistica.
Poi i 10 del balletto, eccoli in rigoroso ordine alfabetico. Sergio Adiamoli, Carlo Dulio, Ildebrando Lazzari, Massimo Maccaroni, Marcello Marciani, G.Franco Morata, Augusto Ravazzoni, Vittorio Ravazzoni, Alfredo Roggero, Umberto Testori, tutti debutttanti e nessuno in cerca di gloria artistica, ma in scena solo per puro divertimento. Cinque i balletti in programma: due nel I tempo, tre nel II con il tradizionale «can-can» finale. In realtà erano sei perché il «can-can» veniva sempre bissato a grande richiesta del pubblico.
Andò tutto bene, anzi benissimo, ma si corse il rischio di non andare in scena. La prova generale fu un autentico disastro. Alle sei e mezzo del mattino sdraiati sulle poltrone della platea distrutti dalla fatica e dal sonno ci fu una riunione di compagnia, la prima e l’ultima di quella edizione, per decidere se affrontare il pubblico o rinunciare. La maggior parte propendeva per una ritirata strategica. Poi arrivò Cesare Penna, detto «Biro» anche per la sua forma non proprio affusolata, con un pacco di giornali sotto il braccio e sentenziò: «tutta la stampa dice che andiamo in scena alle 21 e e noi non possiamo smentirla. Appuntamento per tutti alle 18 nei camerini per il trucco».
Fu un successo con un filotto di esauriti nei due spettacoli della domenica e nei quattro giorni di repliche che seguirono, ma non solo. La Bai aveva trovato nuova linfa per proseguire nel suo cammino iniziato nel 1913. I sopravvissuti, alcuni purtroppo ci hanno lasciato, si ritroveranno venerdì 5 maggio alle 19 al bar Mazzini di Galleria Mazzini per ricordare quell’edizione della Bai.

Cinquanta anni dopo!
Grazie a Cesare Penna general manager ieri come oggi per programmare un nuovo appuntamento, nel 2008, per festeggiare lo spettacolo «Oscar non mi spogliare» andato in scena al teatro Margherita nel 1958 che detiene un vero e proprio record: è stato il primo spettacolo della Bai ad essere vietato ai minori di 18 anni per una spettacolare danza dei sette veli. Che tempi.

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