Quasi il 5% delle famiglie che decide di accendere un mutuo non riesce poi a pagare le rate, la crisi ha così in parte intaccato la tradizionale propensione al risparmio degli italiani, considerati da sempre «formiche», restii a incollarsi debiti, soprattutto se non in grado di onorarli. Infatti, se da un lato il numero delle famiglie che ricorrono al prestito per acquistare casa rimane inferiore rispetto a quello di altri Paesi (13,1%) il tasso d’insolvenza è, invece, alto: insieme a quello della Spagna, supera abbondantemente la percentuale di Stati dell’Unione Europea, come il Regno Unito e la Francia. E non è tutto: il rischio di default schizza se si guarda ai disoccupati, ai single o ai precari.
A certificarlo è uno studio condotto da due economiste della Banca d’Italia su «L’incremento dell’uso di politiche di prezzo basate sul rischio per i mutui in Italia», utilizzando i dati dell’indagine Eu-Silc (Community statistics on income and living conditions) raccolti da Eurostat nel 2007, l’anno di avvio della crisi finanziaria che non è ancora finita. Quindi, l’Italia spicca con un tasso d’insolvenza dei mutuatari pari al 4,9%; tra i sette Paesi Ue analizzati intorno al 5% si colloca anche la Spagna (5,5%). Seguono, a distanza, l’Irlanda (3,5%), la Francia (3,3%), il Regno Unito (2,3%), la Finlandia (2,3%) e l’Olanda (1,1%).
Dalla ricerca si estrapola anche l’identikit del mutuatario inadempiente. Le possibilità di rimborso, infatti, diminuiscono per i senza lavoro, che registrano un tasso d’insolvenza pari al 19%, per i single con figli (10,1%), per gli impiegati part-time (8,5%), per i precari (7,9%), per le classi d’età tra i 44-54 anni (6,1%). E, naturalmente, per le fasce più povere, il 25% dei mutuatari con il reddito più basso presenta un tasso al 14,5%. In compenso in Italia è la famiglia, in quanto tale, il vero ammortizzatore sociale capace di attutire gli effetti della crisi.
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