Alberto Cantù
da Milano
Folgorati non sulla via di Damasco ma sul palcoscenico della Scala l’antivigilia dello scorso Natale, complice la «gioia universale» della Nona sinfonia di Beethoven. Folgorati orchestra e coro che però alla «generale» del mattino erano ancora così così (la sera, dopo un’altra prova, diventarono una meraviglia). Folgorato l’argentino Daniel Barenboim di anni 64 e con oltre mezzo secolo di esercizio da pianista, nella musica da camera e sul podio: prima nel repertorio sinfonico poi anche in quello operistico.
Lo ribadisce Barenboim nell’incontro che ha visto ieri nel foyer del Piermarini, dietro a un tavolo, due sovrintendenti: Stéphane Lissner e Peter Mussbach che della Staatsoper Unter den Linden di Berlino è pure direttore artistico e, da regista, ha curato il Don Giovanni mozartiano prossimo venturo alla Scala con la giovane bacchetta di Gustave Dudamel su cui tutti giurano miracoli.
«Prima di quella Nona beethoveniana non dirigevo una nuova orchestra da quindici anni (da “adulti” si fa musica meglio con la propria orchestra). Sapevo che orchestra e coro scaligeri sono di prim’ordine. Una sorpresa è stata la loro curiosità. Sorpresa ancora più straordinaria, il fatto che sentissero la musica non con pura fisicità o che altro ma come qualcosa di esistenziale. Mi sono detto: devo poter trovare il modo di unirmi a questa gente».
Detto - all’amico di sempre Lissner - e fatto. Barenboim è, sul campo e a tutti gli effetti, «maestro scaligero». Non, sulla carta, «direttore musicale», un po’ perché la ferita Riccardo Muti è ancora aperta, un po’ perché i tempi non sono maturi (vi fu un interregno anche fra l’età Abbado e quella Muti) e - dice - «perché è una responsabilità amministrativa che non posso né voglio avere» dice il direttore a vita dell’Orchestra Staatskapelle e l’anima della Staatsoper berlinesi.
Di fatto Barenboim sarà un «maestro scaligero» impegnato - valutino i lettori - praticamente come un «direttore musicale». Dirigerà due o tre opere l’anno e avrà tre Sant’Ambrogio su cinque dal 2007 (Tristano e Isolda) al 2012; ogni anno gli competerà anche una terna di concerti sinfonici o sinfonico corali. Il 9 settembre 2007 celebrerà col Requiem di Verdi i 50 anni dalla morte di Toscanini. Fra il 2007 e il 2008, da pianista, realizzerà la sua «prima» italiana delle 32 Sonate di Beethoven. Già settembre porterà a Milano, al termine di una tournée, quell’orchestra del Divano dove è riuscito a far armonizzare palestinesi, israeliani, siriani e musicisti del bacino mediorientale. Curerà anche a Milano, con la Scala, un (benemerito) progetto di «nido musicale». Alla faccia della collaborazione! Sembra piuttosto un’«esclusiva».
In due anni - ed ecco l’asse Milano-Berlino - lo vedremo nella buca d’orchestra per l’Anello del Nibelungo di Wagner (regista da definire) con Prologo e Valchiria alla Scala nel 2010, Sigfrido e Crepuscolo alla Staatsoper la Pasqua del 2011, poi il ciclo per intero sia a Milano sia a Berlino. Funzioni da «direttore musicale»? No perché altri progetti consistenti si sono formati con maestri come Chailly, Gatti e via citando. E niente di ufficiale («Non c’è titolo, non c’è contratto e c’è tutto» dice Barenboim. Ma c’è «tutto» o nulla?).
È Lissner, comunque, a sottolineare l’importanza della nuova collaborazione fra due teatri dalla storia antica e dal profilo nettamente definito. «Progetto europeo» che giudica con «pochi precedenti sulla scena internazionale». Anche se la Scala è un teatro italiano, di tradizione italiana: quella con cui il maestro argentino ha scarsa dimestichezza.
Barenboim «maestro scaligero», dice Lissner, come i Karajan o i Furtwängler (che però con la Scala ebbero rapporti di rilievo però occasionali). E il direttore a rincalzo: «La responsabilità artistica e musicale del teatro compete al sovrintendente e, come dice Figaro, “Questo è tutto l’affar”». Se proprio tutto, vedremo.
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