Barolo Chinato. In origine, più di un secolo fa, c'era quello di Giulio Cocchi, di Giuseppe Cappellano, di Zabaldano, del Tarditi di La Morra e di Borgogno a Barolo. Appartiene all'infelice categoria dei vini che non si consumano, ma durano; su cui si costruiscono leggende, spesso litigandosi l'ipotetica paternità, ma che nessuno si fila quando si deve scegliere cosa bere a fine pasto. Non è un vino facile da comprendere (un vino non vino, una base di Barolo autentico successivamente zuccherata, fortificata e drogata), cammina sulle punte, in alto, in equilibrio precario e difficile.
Un consiglio: avvicinati con la testa e non con la pancia, stagli dietro, accetta i suoi eccessi odorosi - la pungenza dell'alcol, le note amaricanti della china calissaia, le spezie macinate, le erbe aromatiche - e preparati alla piacevole incoerenza del palato. Perché l'incoerenza è nella sua natura: Barolo dentro e infuso chinato fuori, tannini di razza e dolcezza liquorosa. Ama stare col cioccolato, sopporta la sua amarezza, sfida la sua persistenza, e al meglio si completano in modo miracoloso.
Difficile stilare classifiche assolute: tutti i produttori legati alla tradizione ne producono uno per le ricorrenze; succede un po come nel Chianti, dove il Vin Santo nicchia nel sottotetto di ciascun produttore senza velleità commerciali, né manie di competizione. Tuttavia è impossibile non amare quello prodotto a La Morra dai Cordero di Montezemolo, tel. 0173.50344, corderodimontezemolo.it, e a Verduno dai Fratelli Alessandria, 0172. 470113, fratellialessandria.it. Buono come sempre la versione tradizionale della Giulio Cocchi ad Asti, 0141.
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