Bassolino in esilio, così si risolve l’emergenza rifiuti

Dottor Granzotto, siamo a questo: le rappresentanze diplomatiche in Italia allertano i rispettivi cittadini sconsigliandoli di andare a Napoli dove, a causa dell’emergenza rifiuti, c’è il rischio di prendersi il colera o qualcosa di simile. Molto umiliante per una «potenza» del G8. Quando una «emergenza» dura ormai da otto mesi senza che nessuno abbia trovato modo o volontà di risolverla, cosa resta da fare?


Presto detto, caro Buonacasa: bastano quattro mosse. Prima mossa: spedire Bassolino&Iervolino ad Auckland e lì trattenerli due settimane, il tempo necessario per uscire dall’«emergenza rifiuti». Seconda mossa: far presidiare dall’esercito una vecchia cava o altro luogo atto a discarica. Con tanto di cartelli «Vigilanza armata», gli stessi che d’altronde si leggono all’esterno di ogni caserma o installazione militare. Se, nonostante il democratico avvertimento, i soliti antagonisti intendessero far cagnara, giù botte. Terza mossa: sotto la scorta dei paracadutisti della divisione Folgore, l’intero parco automezzi della Nettezza (!) Urbana di Napoli e dintorni, 500 camion delle Forze Armate e Protezione civile oltre ai furgoni, pulmini, gipponi delle Onlus e Ong campane «impegnate nel sociale» raccattano - ci vogliono ventiquattro ore - la montagna, l’Himalaia di monnezza e di schifezze che giace sulla pubblica via portandola immantinente alla discarica. Lo so: pare che dopo una decina d’anni i liquami delle discariche finiscano per inquinare la falda acquifera facendo ricomparire sulla scena «’o vibrione» di simpatica memoria. Ma a scongiurare il pericolo sovviene la quarta mossa: sempre alla rassicurante ombra dalle baionette si dà inizio ai lavori per la costruzione di un termoconvertitore, in parole povere di un maxi impianto per lo smaltimento dei rifiuti. Progetto ed esecuzione affidati ad una industria svizzera, con operai svizzeri, cemento, ferro ed ogni altro materiale svizzero. Così la camorra e i politici tangentari stanno quieti. E dalla posa della prima pietra al primo sacco di spazzatura termoconvertito non passano trent’anni, ma dieci mesi.
Fatto ciò, risolta l’emergenza, entrerebbero in attività le Urimame, speciali unità addette alla riabilitazione del mascalzone metropolitano. Il loro compito è di individuare sacchi dell’immondizia o altri contenitori di lordura lasciati sul marciapiede e di disseminarne il contenuto nell’androne, nell’ascensore, lungo le scale dell’edificio prospiciente. E se puta caso gli inquilini fossero innocenti, scrupolosi nel deporre il loro pattume nei cassonetti? Poco male. Alla quinta o sesta volta che si ritrovano la casa un letamaio, invece di appellarsi alle autorità disporrebbero appostamenti per individuare i mascalzoni che, lasciando appunto la spazzatura sul marciapiede, sono responsabili dei loro guai.

E giù botte (versione un po’ maoista della riabilitazione, ma a mali estremi, estremi rimedi). Anche se non strettamente necessario, a quel punto è possibile far tornare dalla Nuova Zelanda la coppia Bassolino&Iervolino, ovvero l’asso di bastoni e la dama di picche dell’ammuina.

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