«Basta conflitti tra noi. Serve più struttura e disciplina»

«Sono amico di Silvio Berlusconi da trent’anni. Sono amico di Bossi dal 1989. Con Fedele Confalonieri capimmo che Umberto era un animale politico di pura razza e iniziai un rapporto con lui che non finirà mai e che passa anche per le cene del lunedì ad Arcore. Poi, sono soprattutto un veneto, un bellunese per la precisione: la mia razza è imparentata con il silenzio. Da quando sono in politica, il silenzio è il mio ruolo e così deve continuare ad essere: ora e sempre».
Il silenzio è la cifra di Aldo Brancher, sottosegretario alle Riforme istituzionali. L’intervista è, per lui, merce rara. Ma se la concede, non si nasconde dietro parole fumose e affonda i suoi giudizi.
Se si dice Zaia, il leghista candidato alla presidenza del Veneto, è vero che si dice anche vittoria di Aldo Brancher su Galan?
«No, per carità! Perché coltivare la zizzania? Ha vinto la Lega dopo un lungo percorso iniziato molti mesi fa, che non poteva che sfociare con un uomo del Carroccio, un politico dalle ottime potenzialità comunicative. Zaia ha tutte le capacità e tutto il tempo di dimostrare di essere una grande scelta».
Nessun ostacolo in vista?
«La mancanza d’armonia all’interno del Pdl. I conflitti tra noi ci sono, ma è tempo che finiscano. Il litigio in politica non è libertà, né tra maggioranza e opposizione, né all’interno di ogni singolo schieramento. All’interno del Pdl ci vuole più struttura e disciplina. Anche la Lega è un partito della libertà, quando Bossi a Pontida inizia a dire “Libertà, libertà, libertà” ci trascina tutti alla commozione. Ma la Lega è impostata secondo una libertà in cui si deve ubbidire. Nel Pdl vige una libertà in cui invece si può anche obbedire. Dovere da un lato, possibilità dall’altro. Su questo è necessario fare una riflessione».
Ma perché Zaia e non Tosi? Si racconta che Bossi tema un po’ il carisma del sindaco veronese e che lo voglia tenere al guinzaglio?
«Tosi è veramente in gamba, un grande lavoratore, ma Bossi sa che è un bravo soldato e, come si diceva prima, ubbidirà sempre al capo. Un capo sempre in salute e soprattutto lucidissimo».
Nelle Regionali venete la Lega supererà il Pdl?
«Eh no, spero proprio di no. Credo proprio di no. Sono certo, e tutti dobbiamo esserlo, che non sarà così».
Allora è più amico del Pdl che della Lega.
«Certo, io sono nel Pdl. Credo di averlo dimostrato durante la rottura del ’96 tra i due leader. Per un intero biennio, fino al ’98, organizzai appuntamenti riservati tra i due, serate tanto segrete che nessuno al di fuori ne seppe mai nulla. Qualcuno poi nel 2001 disse che il loro ritorno sarebbe stato un insuccesso, ma io ero certo che non sarebbe andata così, perché finalmente si erano parlati, cioè si erano uniti nelle parole. È arduo dialogare veramente, scambiarci un po’ della parte profonda di noi nella conversazione, per questo, come le ho detto, non credo alle interviste. Ma quando ci si incontra, non ci si lascia più. Ora Berlusconi e Bossi si vogliono bene, un bene inattaccabile».
C'è qualche possibilità che Casini si allei anche nel Veneto?
«No, Bossi ha posto il veto. Casini ha voluto iniziare la politica dei due forni, avrà valutato rischi e opportunità. Sottolineo: sicuramente ha valutato i rischi. È un politico di peso e spessore, quindi è ben consapevole di rischiare molto di più di quanto stia rischiando Berlusconi».
Gianfranco Fini...
«In tutti questi mesi, negli incontri con il premier, seduti uno di fronte all’altro, ci siamo chiesti vicendevolmente: ma secondo te, perché lo fa? Perché si comporta così? Perché è tanto cambiato?».
Qualcuno sostiene che sia stato il nuovo matrimonio. Qualcun altro che, come Casini a suo tempo, anche Fini sia stato colpito dalla sindrome del delfino.
«Va bene, può essere, è accaduto più volte. Berlusconi li porta in alto e poi vogliono fare da soli, anzi vogliono diventare come lui. Capisco possa accadere a qualche presidente di Ente, a qualche amministratore, insomma a qualche politico di serie B. Ma a Fini e Casini? Lo conosceranno Berlusconi, no? Sanno come è fatto il presidente, altrimenti dubito della loro indubitabile intelligenza».
Perché, come è fatto Berlusconi?
«È buono, ma è un genio. Ti prenderà sempre in contropiede, perché è imprevedibile. È un grande giocatore. Lo faceva anche ai tempi di Telemilano: divide et impera, è il suo segno. Ha solo due difetti. Il primo: dice sempre di sì, a tutti, indiscriminatamente».
Il secondo?
«Tanti anni fa Berlusconi mi disse: “Vedi Aldo, tu sei fatto così. Una cosa ti entra da qui, e indica l’orecchio sinistro, e ti esce da qui, e indica l’orecchio destro. Invece io sono fatto così. Una cosa mi entra da qui, e indica l’orecchio sinistro, e mi esce da qui, e indica la bocca. Per questo siamo amici”. Io non sento, non vedo, non parlo. Lui sente, vede e parla».
Allora, parliamo di giustizia?
«In questa categoria, giustizia, verso Silvio Berlusconi non esiste. Esiste solo un termine, persecuzione, e basta».
Pensa che un giorno, così, improvvisamente come è entrato, potrà uscire dalla politica?
«È imprevedibile».
Ci racconti dei lunedì a Arcore.


«Con Bossi, Calderoli, Tremonti? Si parla di tutto, fuorché di politica, e con Umberto presente le assicuro che è faticoso trattenersi, perché come ho detto lui è proprio un animale politico, vede lontano un secolo. Il clima è sempre allegro. Arcore è la casa dell’ottimismo e della positività».

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