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La «bella vita» degli espulsi dall’Italia

La «bella vita» degli espulsi dall’Italia

Non tutti i terroristi islamici, o presunti tali, vengono «rapiti» dalla Cia, deportati a Guantanamo o consegnati ai Paesi d’origine per essere interrogati in qualche sordida galera. In diversi casi terroristi condannati in Italia o personaggi pericolosi espulsi dal nostro e da altri Paesi si ritrovano ben presto in libertà. Il caso più eclatante riguarda Yassine Chekkouri, bibliotecario del centro islamico di viale Jenner a Milano, arrestato nel 2001 e condannato a quattro anni di carcere. Chekkouri è un elemento importante della galassia del Gruppo salafita per la predicazione e la lotta. Non solo: due suoi fratelli, Younes e Radwan, furono presi dagli americani a Tora Bora, ultima roccaforte di Al Qaida in Afghanistan, e spediti a Guantanamo. Lo scorso anno, quando Chekkouri, detto il «monaco» per la sua vita spartana, uscì di galera, fu espulso nel Paese d’origine, il Marocco, dove vive liberamente.
Tragicomica la vicenda di Bouchoucha Mokhtar, un altro terrorista della cellula legata ad Al Qaida scoperta a Milano. Liberato da un carcere di massima sicurezza italiano lo scorso anno, non trovò nessuno ad attenderlo per l’espulsione. Allora andò tranquillamente in Svizzera, ospite di alcuni familiari. Solo più tardi fu scovato e rispedito in patria. Un altro tunisino a cui è andata bene è Adel Ben Soltani, il più giovane della cellula terrorista sgominata a Milano, che faceva capo a Essid Sami Ben Khemais. Durante un viaggio in Germania confidò che il suo sogno era diventare un kamikaze. Condannato e poi espulso dall’Italia, non risulta che sia stato fermato in Tunisia.
Spesso i servizi dei Paesi d’origine si accontentano di una promessa di abbandono della lotta armata, oppure cercano di sfruttare il terrorista rientrato in patria come informatore e infiltrato. «Il problema è che questa gente fa finta di collaborare», sottolinea chi si è occupato di estremismo islamico in Italia.
Anche diversi espulsi, non condannati da noi ma che risultavano pericolosi, hanno vita facile nei Paesi d’origine. Il 6 settembre scorso il ministro degli Interni, Giuseppe Pisanu, ha fatto espellere Borurichi Boutcha per «grave turbamento dell’ordine pubblico e pericolo per la sicurezza dello Stato». Meglio conosciuto come l’imam di Torino, dichiarò solidarietà ad Osama Bin Laden dopo l’11 settembre. In seguito camuffò la sua linea estremista, e il giorno della sua espulsione in Marocco i familiari temevano che venisse ucciso. Invece l’imam è tornato tranquillamente a Kuouribga, la cittadina nell’entroterra marocchino da cui provengono gran parte degli immigrati residenti in Italia. Pochi giorni dopo l’espulsione, in un’intervista ad Antenna 3, Bouchta ribadì sostanzialmente la teoria del complotto per l’11 settembre, negando la pista islamica.
Il caso più noto di persona non grata è quello di Mohammed Daki, un altro marocchino che viveva a Reggio Emilia, prima imputato e poi assolto per il reclutamento di kamikaze da inviare in Irak. Sollevò polemiche l’ambigua distinzione dei giudici in «guerriglieri» e «terroristi», che salvarono Daki dalla galera ma non dall’espulsione. Anche in questo caso l’avvocato gridò allo scandalo temendo che il suo assistito venisse torturato dai servizi marocchini. A metà dicembre, una volta giunto in patria, Daki sparì per qualche giorno, ma poi fu rilasciato e ora vive tranquillamente nella casa dei familiari. Peccato che giovedì scorso un tribunale tedesco ha condannato per terrorismo internazionale la costola di Monaco della cellula a cui era collegato Daki. Il reato di reclutamento dei kamikaze questa volta è stato riconosciuto dai giudici. L’assurdo è che la polizia tedesca scoprì la cellula nel 2003, grazie alle intercettazioni della Digos di Milano, che riuscì a registrare le conversazioni fra gli islamici in Germania e tre imam a Milano, Parma e Cremona.
Daki, in una recente intervista, ha dichiarato: «Pisanu si è fatto pubblicità espellendomi. Spero che vinca Prodi, così potrò tornare i Italia».
Altra espulsione famosa è quella dell’imam di Carmagnola, al secolo Abdul Mamour, che sulla strage di Nassirya disse: «Questo è solo l’inizio. Bin Laden continuerà negli attacchi all’Italia fino a quando il governo non ritirerà i suoi militari dall’Irak». Rientrato forzatamente in Senegal, è riuscito a garantirsi una sorta di accreditamento consolare, che gli permette di viaggiare liberamente. Inoltre il 13 dicembre 2004 il Tar del Lazio gli ha dato ragione cancellando il decreto di espulsione. L’imam, soddisfatto dalla notizia, dichiarò: «Farò da tramite con Bin Laden per evitare che il terrorismo vi colpisca».


Un altro fortunato è Omar Bakri Mohammed, noto istigatore dell’estremismo islamico in Gran Bretagna, che temendo l’arresto lasciò prudentemente il Paese dopo gli attentati di Londra dello scorso luglio. A Beirut lo raggiunse il provvedimento di revoca della cittadinanza inglese e il divieto di tornare in Inghilterra. Bakri non si è perso d’animo e dal Medio Oriente continua a istigare alla guerra santa internazionale.

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