da Brazzaville
Nato nella papale Castelgandolfo da nobili friulani esuli dal dominio austriaco, Pietro Savorgnàn di Brazzà divenne francese a ventidue anni, nel 1874, e colonizzò il Congo dal 1880, finanziato dalla famiglia e dalla République française, che allora significava Léon Gambetta, Jules Ferry, Georges Clémanceau e Ferdinand de Lesseps. Morì, forse avvelenato, nel 1905, tanto noto da meritare - trentanni dopo - un film sulla sua storia, ma non tanto da sottrarsi - sessantanni dopo - alloblio come colonialista. Perciò, ancora allinizio del 2006, chi si sarebbe aspettato che Di Brazzà fosse, oltre che protagonista della recente mostra romana sullAfrica, il nuovo padre della patria per il Congo?
Invece è andata proprio così. La scorsa settimana a Brazzaville - la capitale che reca il suo nome, quando tutta lAfrica ha ormai epurato la toponomastica coloniale - sono arrivate, in volo da Algeri, le salme di Di Brazzà, della moglie, marchesa Thérèse de Chambrun, discendente di La Fayette, e dei quattro figli. Sono state sepolte nel grande, eburneo mausoleo costruito ad hoc, culmine di unoperazione-memoria ideata nel 2003 da un discendente di Di Brazzà, lafricanista Detalmo Pirzio-Biroli, recentemente scomparso, e realizzata dai figli Corrado e Roberto. Unico vero intoppo, la traslazione è avvenuta in ritardo rispetto al centenario della morte di Di Brazzà, ma così si è caricata di ulteriore significato, perché è giunta nel momento in cui il Congo presiede lUnione africana ed è nel Consiglio di sicurezza dellOnu.
Ma per alcuni storici congolesi Di Brazzà non era un «umanista», come sostengono i discendenti e la Fondazione a lui intitolata, ma un «avventuriero» che, anche fosse stato in buona fede, ha aperto la via alla politica delle cannoniere. La cerimonia in suo onore è parsa loro contrastare, non esaltare, la sovranità della nazione, dietro la quale hanno intravisto la fazione: quella «innovatrice», opposta a quella «conservatrice», del Partito del lavoro, facente capo a Dénis Sassou NGuesso, presidente del Congo. Imprevedibili sono i sentieri della politica. Infatti Sassou NGuesso non ha nemmeno lui un passato dumanista, come fosse un Senghor. Ma tutto scorre e le idee dei politici sadeguano alle esigenze, proprio come le acque del Congo, prima maestose, poi, alla periferia di Brazzaville, impetuose per le rapide.
Quando il presidente Sassou NGuesso mi ha ricevuto, ha mostrato il suo lato solenne: nel suo studio, un grande ritratto lo mostra in Vaticano con Giovanni Paolo II. Dei primi, movimentati trentanni dellindipendenza del Congo e della politica di Sassou NGuesso, la traccia resta sul tavolo dei souvenir ufficiali, dove luccica il piatto celebrativo del mezzo secolo di rivoluzione cinese, perché la capitale straniera di riferimento del Congo-Brazzaville è stata a lungo Pechino. Ora, però, anche questa Albania dellAfrica guarda a Parigi.
Un marziano sceso a Brazzaville in questo ottobre la giudicherebbe in sintonia con le parole del ministro degli Esteri francese, Philippe Douste-Blazy, giunto con le salme per connettere Di Brazzà a De Gaulle. Il Generale fece nel 1940 di Brazzaville, «Cenerentola dellImpero», la capitale del medesimo e qui nessuno lha dimenticato, mentre tutti fingono di dimenticare che altrove in Africa il Generale veniva preso a cannonate dai petainisti. Per il Quai dOrsay, oggi, Di Brazzà e De Gaulle sono il colonialismo dal volto umano e non a caso viene fatta circolare la foto della vedova dellesploratore accanto a De Gaulle a Brazzaville. Tornato qui nel 1944, il Generale disse, col suo eloquio dal ritmo ternario: «Nessun pioniere dellAfrica fu umano come Brazzà. Nessuno seppe conquistare unamicizia più sincera delle popolazioni per far progredire sia lautorità della Francia, sia la civiltà. Questo il nostro fine in Africa». Ma un anno e mezzo dopo alle belle parole seguirono le cattive azioni: repressione in Algeria (75mila morti), repressione in Madagascar (150mila)...
Ma in politica la memoria è selettiva e poi lapparenza conta più del contenuto. Lapparenza a Brazzaville è ora, mentre lultimo gollismo declina, quella di un parco giurassico del primo gollismo: basterebbe questo a giustificare il viaggio allequatore. E poi la popolazione della capitale non è stata turbata dalle polemiche, a giudicare dai tanti che saffollavano, festosi, lungo il percorso del corteo con le salme dallaeroporto al centro.
Levento ha avuto uneco anche oltre i confini, vista la partecipazione alle esequie dei presidenti del Gabon e della Repubblica Centrafricana, Paesi che, col Congo, rientravano nel regno africano col quale Di Brazzà trovò - o al quale impose - unintesa. Con tutta la possibile solennità, la cerimonia di Brazzaville è servita alla Francia per ripetere alle potenze anglofone, rivali nel controllo del contiguo Congo-Kinshasa (dove a fine mese si vota), che non intende cedere. LItalia osserva la contesa con distacco, perché il suo primo interesse, qui, è per il petrolio offshore dellEni, dalle parti di Pointe-Noire. Si bada dunque al grande oceano più che al grande fiume. Per evocare Di Brazzà, non cè stata dunque la mobilitazione politica di Roma auspicata da Ciampi durante la sua presidenza. Anche senza, però, lambasciatore Gaetano La Piana ha ottenuto che il nostro tricolore sventolasse sul Congo, accanto a quello francese.
E non sono stati quelli nazionali i soli simboli bene in vista. Brazzaville (650mila abitanti) non è Kinshasa (8 milioni), dallaltra parte del fiume Congo, ma non è nemmeno Washington. Perciò il mausoleo per Di Brazzà, che somiglia tanto al Jefferson Memorial sul fiume Potomac, ha suscitato commenti sia per i costi (è rivestito in marmo di Carrara), sia per lestetica massonica. Per la proprietà transitiva si è detto: massone Di Brazzà, massone Sissou NGuesso, massone il presidente gabonese Bongo...
Grande è il disordine sotto il cielo.
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