BRECHT Con le donne un rapporto tutta scena
9 Agosto 2006 - 00:00La vera autrice dell«Opera da tre soldi» sarebbe Elisabeth Hauptmann, ma anche altri lavori celano un talento femminile
Limmagine che, nellanno di grazia 1955, ce lo mostra stretto tra il serafico Paolo Grassi e uno Strehler dalla chioma lucida e laccata come quella di «Rudy» Valentino, ne ha fissato per sempre licona benevola e lievemente naïf di araldo della democrazia universale. Anche se Bertolt Brecht, chiamato affettuosamente BB da Julian Beck e Judith Malina quando la troupe del Living esportò trionfalmente in Europa la sua Antigone riveduta e scorretta secondo i parametri dellanarchia al potere, non si riconosceva in quella stinta decalcomania. Fiero comera della sua identità di simbolo vivente del marxismo, esemplato nella sua carica di onnipotente direttore del Berliner Ensemble dove i suoi testi canonici venivano presentati, chiosati e incensati come mai era accaduto a Shakespeare ai bei tempi del Globe o a Molière, accreditato giullare magnifico alla corte del Re Sole.
Nessuno, a quei tempi, osava pensare, dubitare o tantomeno scrivere una riga sospettosa sulleccellenza programmatica, lintegrità morale e lassoluta originalità inventiva di quellomino divenuto, dalloggi al domani, il santino del vangelo dei laici, che in Italia riceveva onori regali contrastato solo dalla Chiesa cattolica quando, nel 63, il Galileo del Piccolo di Milano scosse le gerarchie e infiammò le coscienze ben più di quanto sia capitato di recente dopo la comparsa del Codice da Vinci. Brecht era un genio, un benefattore dellumanità sofferente, un operaio della cultura che viveva modestamente arroccato nella sua Ddr accanto a unattrice brutta e rispettata come ogni moglie che si conviene dopo aver rifiutato i fasti della nativa Augsburg e disprezzato i miliardi della macchina americana, interessata a tramutare il veemente jaccuse anticapitalista della sua Dreigroschenoper in un film con Dean Martin finanziato, orrore sommo, da quel mafioso di Frank Sinatra. Insomma, il papà dell«effetto di straniamento» che, a teatro, incitava a non sciogliersi in lacrime davanti ad ogni tirata edificante ma a riflettere sullarroganza del potere, fu per trentanni il portabandiera di quel «comunismo dal volto umano» che, dopo le sue esequie l11 agosto di cinquantanni fa, fu elevato da ogni esponente della «cultura libertaria» a dignità ne varietur di semidio.
Ciò che lo rendeva intoccabile tuttuno alla maschera dolente di Charlot contratto in una smorfia di raccapriccio ogni volta che, allorizzonte, si profilava lombra nefasta del policeman, era il suo mitico passato di paladino degli oppressi. Si poteva inficiare del maleficio del dubbio luomo che, in patria, aveva contestato lascesa del famigerato Imbianchino? O colui che, per non sporcarsi le mani con la sordida politica inaugurata dopo lincendio del Reichstag aveva peregrinato, più lacero e ramingo dellEbreo errante, tra la Svezia, la Finlandia e lUnione Sovietica prima di raggiungere, nel 41, quella Hollywood dove per sbarcare il lunario fu costretto a mettersi in fila davanti agli uffici dei tycoon per elemosinare un misero stipendio da sceneggiatore? No, che non si poteva. Tanto più se si scorrevano quei drammi giovanili, solo in apparenza scabri e disadorni come una tavola pitagorica, dove il suo linguaggio ancora immune dai condizionamenti di parte si piegava con strepitoso virtuosismo alla poesia esasperata e cupa dellespressionismo. Con quel Baal, scritto a ventanni nel 18, che più che a un mostro biblico emerso dal marasma di un cataclisma glaciale faceva pensare a Donatien de Sade e a quei mirabili Tamburi nella notte (1920) dove gli echi della rivolta spartachista stingono sullo sfondo dellapatia del protagonista che, crollati gli ideali libertari, aspira solo a rientrare «nel gran letto bianco» in cui lo attende un eros senza sogni.
Non è casuale infatti che, prima di coincidere anima e corpo col Diktat di un teatro epico svincolato dallidentificazione sentimentale con gli ideali del romanticismo, Brecht poneva senza accorgersene le fondamenta estetiche e stilistiche di quel grande scrittore che avrebbe potuto essere e non è stato. Dato che, paradossalmente, la spinta eversiva alla battaglia sociale lo portò da quel momento in poi non a creare opere autonome, originali nella concezione e negli addebiti col passato, ma a rifare il verso, accentuandone allestremo laspetto grottesco, a testi e personaggi canonici della letteratura e della storia audacemente riciclati in funzione anticapitalista. È su questo limite, che per qualsiasi altro avrebbe rappresentato un handicap invalicabile, che Brecht costruisce con prodigiosa abilità dialettica una parabola che si attesta sul mito. Non si fa scrupolo di capovolgere motu proprio il grande romanzo di Hasek Il buon soldato Schweik snaturandolo e, a suo modo, potenziandolo nellodissea di Schweyk nella seconda guerra mondiale. Per assalire frontalmente poi lambigua truffatrice Courage al centro dellaffresco storico di Grimmelshausen deturpandone per sempre i tratti nellimmagine al vetriolo di Madre Coraggio. La donna che non può né vuole estraniarsi dallimplacabile meccanismo della guerra che la riduce a una larva distruggendo una per una le sue creature.
Saccheggia da par suo i Dialoghi dei massimi sistemi del genio di Arcetri consegnandoci, in Vita di Galileo, il ritratto a tutto tondo di un uomo che, pur di esplorare i segreti del cosmo, non esita ad annullare nellabiura letica cui ha ispirato la sua esistenza. Prende a prestito dallOriente la famosa leggenda della meretrice Shen-Te tramutando la vittima dellaggressione maschile nel feroce Shui-Ta che incrementa luniversale legge della sopraffazione al centro dellAnima buona del Sezuan. Ma soprattutto sfrutta, profittando del demoniaco potere di seduzione che esercita sul gentil sesso, tutte le femmine dellélite intellettuale che gli capita di accostare.
Nasce così (anche se le sue malefatte verranno in luce solo nel 94 nella scandalosa biografia di John Fuegi) la sua leggenda di moderno Barbablù. Che si appropriò del talento di Elisabeth Hauptmann, secondo alcuni la vera autrice dellOpera da tre soldi, della condiscendenza di Ruth Berlau che gli avrebbe dettato pagine e pagine del Cerchio di gesso del Caucaso, della docilità di Margarete Steffin da lui precipitata nellabisso della follia come della verve della finlandese Hella Wuolijoki che gli avrebbe suggerito le battute più taglienti del Puntila. Per non parlare della più illustre delle sue vittime, la straordinaria Marie-Luise Fleisser, autrice di un capolavoro come Purgatorio a Ingolstadt fortunosamente recuperato negli anni Settanta da un maestro come Fassbinder. Ipotesi che, se fino a ieri si limitavano ai sussurri, oggi prorompono da ogni parte come grida condizionando, ben più di qualunque discriminante ideologica, lascesa di Bertolt Brecht al Pantheon degli immortali. Di cui ci si appresta a celebrare un revival che, non cè dubbio, culminerà nellapoteosi.
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