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Il broker di Lewis affoga nei debiti (con sé stesso)

Un agente di Borsa si prende una vacanza e salpa per una crociera. Che non si rivelerà un buon affare

Non sai se pensare alla canzone Onda su onda di Bruno Lauzi o ai deliri di Arthur Gordon Pym, alla vignette sui naufraghi della Settimana Enigmistica o al turbinio di pensieri che avvolge Hans Castorp nel capitolo «Neve» in La montagna incantata di Thomas Mann, ma con il mare al posto della montagna, e l'acqua salata al posto di quella dolce. L'oscillazione fra sorriso e inquietudine non è facile da rendere, in letteratura. Per ottenerla può essere utile un evento, pur piccolo, quasi insignificante, che, sottovalutato o mal gestito, sparigli le carte, crei uno iato fra il prima e il poi. E fa gioco che il prima, alla luce del poi, si presti a una nuova lettura, molto diversa da quella data per scontata. Infine non guasta una sorta di vaga premonizione...

Ecco, in Gentiluomo in mare (Adelphi, pagg. 152, euro 13) troviamo tutto questo. Lo possiamo chiamare romanzo breve o racconto lungo, ma il modo migliore per definirlo è quello usato dal traduttore Marco Rossari nella postfazione: «apologo». E che cosa insegna, questo apologo? A non fidarsi della vita, sempre propensa a raccontare bugie, a far credere in ciò che non esiste e a nascondere ciò che conta. L'autore, Herbert Clyde Lewis (1909 - 1950) lo sapeva bene già a 28 anni, quando scrisse Gentleman Overboard. La vita gli faceva credere che il successo fosse importante, e intanto gli nascondeva i problemi del suo cuore (e della sua mente), in buona parte collegati proprio alla ricerca del successo, che lo porteranno alla morte (forse per suicidio). Il successo lo annusò dieci anni dopo, con la nomination all'Oscar per Accadde nella Quinta Strada, tratto da un suo racconto. Lo annusò, ma non lo gustò.

Il Gentiluomo in mare si chiama Henry Preston Standish ed è l'opposto di Herbert Clyde Lewis: un uomo di successo che quindi non cerca altro successo, si contenta di quello che ha. Trentacinque anni, agente di Borsa a New York, moglie giovane e fedele, due bei bambini, casa a Central Park West, sano, atletico, brillante. Inoltre, fa tutto con moderazione, dal bere, al fumare, al sesso. Ma ecco la premonizione cui accennavamo. Dopo aver deciso, con il consenso della moglie, di prendersi una vacanza da solo, per staccare un po', scivola in una breve depressione, in un tedio che somiglia a un'influenza. Dura poco, quattro giorni, eppure è un segno... Comunque, s'imbarca: «Proveniente da Honolulu, il piroscafo Arabella procedeva verso il canale di Panama senza incertezze, e nel giro di otto giorni e otto notti sarebbe approdato a Balboa», con a bordo un mr. Standish più stranito che rallegrato dalla novità. I compagni di viaggio sono noiosi, la navigazione è monotona, la sera lui si ritira presto, dopo cena. Del resto, è lì per riposarsi, non per spassarsela, ma far riposare la mente non è facile, anzi: l'assenza di impegni porta a pensare alla famiglia, al lavoro, al club, insomma, al solito trantran, e a valutarlo da un punto di vista diverso, con meno soddisfazione. E questa è la nuova lettura che Standish fa della propria vita, il secondo passo verso... il terzo passo.

Ore 5 e 23 del mattino. Standish è sul ponte a osservare il mare e ha già voglia di un secondo caffè: «Fatto un passo indietro con il piede sinistro, staccò la mano dalla maniglia. Indietreggiando, la suola della scarpa sinistra finì su una macchia d'unto. Standish fece un tentativo disperato di riaggrapparsi alla maniglia e mantenere saldo il piede destro. Ma la mano non trovò la maniglia e la scarpa destra scivolò su un'altra macchia d'unto, o forse la stessa; Standish non l'avrebbe mai scoperto». E dunque... splash, gentiluomo in mare.

Potrebbe gridare aiutooooooo!!!!, ma non sarebbe da gentiluomini. E poi, chi lo sentirebbe, alle 5,23 del mattino? L'oceano è Pacifico come il nome che porta, piatto come la vita di Standish, e lui, diciamolo, ci si trova persino bene, sulle prime. Stai a vedere, pensa, che è questa la vera vacanza. Intanto, l'Arabella se ne va, lenta come una mucca al pascolo. La tavolozza emotiva con cui Lewis colora le ultime ore della sua effimera creatura passa dalla vergogna alla risata (isterica), dal piacere del morituro nel pregustare il racconto che avrebbe fatto ai suoi, una volta portato in salvo (ma da chi?) alla presunzione di considerarsi al centro dei pensieri degli altri turisti (che invece ritengono una seccatura l'inversione di rotta - obbligatoria - quando la sparizione è accertata).

Prima c'è la rabbia presa con filosofia: «Non si era mai reso conto che la mente era un gingillo del corpo; che le idee funzionavano soltanto finché il corpo non aveva un qualche bisogno e piegava la mente al proprio volere. Standish sapeva solo che all'improvviso non gli importava se la brava gente a bordo dell'Arabella vedeva i suoi mutandoni gialli e blu. Voleva stare a galla e, perdio, così avrebbe fatto». Poi subentra il fatalismo: «Poco importava quello che avevi, dovevi accontentarti: era questo il punto. Non potevi rispedire te stesso indietro agli dèi e chiedere un altro pacco. E in quel momento Standish capì che cosa era stato dato a lui. Una certa cultura, oltre a un garbo inveterato e a una mente che apprezzava le cose più sobrie e fini della vita. E una regola ferrea: trattare bene i bambini, essere galante con le signore ma senza eccessi, camminare sul lato giusto della strada e tutte quelle sciocchezze. Invece non era bravo, per nulla bravo, a nuotare nell'oceano, si rese conto Standish, se non per quella parte del proprio codice comportamentale che gli aveva regalato la cosiddetta volontà di ferro».

Gentiluomo in mare non è la tragedia di un uomo ridicolo, come per Ugo Tognazzi nel film di Bertolucci, semmai la farsa di un uomo

tragico. Perché lo Standish agli sgoccioli che si rende conto di aver recitato una parte in una commedia né rosa, né gialla, ma grigia, affonda con la voluttà del suicida, legandosi al collo tutte le sue pesanti disillusioni.

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