Marcello Foa
nostro inviato
a San Pietroburgo
È una gaffe, ma non rovina il summit che, a San Pietroburgo, riavvicina Stati Uniti e Russia. Un giornalista chiede a Bush lumi sullo stato della democrazia a Mosca. Il presidente americano la prende alla lontana: «Ho parlato al presidente russo del mio desiderio di promuovere cambiamenti istituzionali nel mondo, come in Irak dove c'è una stampa libera e libertà di religione; e gli ho detto che molta gente nel mio Paese vorrebbe che la Russia facesse altrettanto». Fulminea la risposta di Putin: «Sarò onesto con lei, non ci teniamo ad avere una democrazia come in Irak». Un attimo di smarrimento. Putin sorride sarcastico, i giornalisti scoppiano a ridere e Bush è ben lieto di associarsi all'ilarità generale. Incidente chiuso, come d'altronde era inevitabile, considerato il clima di grande cordialità che ha caratterizzato l'incontro tra i due leader, svoltosi in mattinata poche ore prima dell'apertura ufficiale dei lavori del G8. In conferenza stampa sia Bush sia Putin hanno insistito nel sottolineare «l'amicizia e lo spirito di cooperazione tra i due Paesi». Come alla cena della vigilia si sono scambiati pacche sulle spalle con vigorose strette di mano. E hanno siglato un accordo di partnership globale per impedire che i terroristi si muniscano di armi nucleari.
Il nuovo programma amplia quello varato a Bratislava nel 2005: prevede la creazione di centri internazionali per il trattamento dell'uranio - il primo dei quali ad Angarsk, in Siberia - e, soprattutto, rafforza i poteri di Stati Uniti e Russia nel monitorare traffici di sostanze radioattive, ampliando la possibilità di adottare misure preventive. Mai come ora Mosca e Washington si propongono come i gendarmi del nucleare nel mondo. Inevitabile pensare all'Iran. L'intesa di ieri riguarda gruppi eversivi e dunque non il governo di Teheran; ma anche su questo punto le posizioni tra i due Paesi sembrano avvicinarsi. Bush ha insistito sulla necessità che «Russia e Usa parlino con una voce sola e che gli ayatollah recepiscano il messaggio». Putin non lo ha contraddetto e sebbene non abbia affrontato la questione delle sanzioni, ha dichiarato che «non è nell'interesse di Mosca la proliferazione di armi nucleari in una regione esplosiva come il Medio Oriente», ricordando «d'averlo detto all'Iran diverse volte». Poi ha definito molto soddisfacenti «i colloqui con gli Usa per trovare una via d'uscita».
Che cosa questo significhi lo spiegano fonti vicine al Cremlino, citate dal quotidiano Kommersant. Il recente no di Teheran alle proposte del gruppo dei Sei hanno irritato Mosca, che aveva spinto sull'acceleratore del negoziato dopo che Putin aveva ricevuto ampie rassicurazioni dal presidente Ahmadinejad durante il vertice di giugno a Shanghai. Mosca si sente ingannata dagli iraniani e, pur continuando ad escludere l'uso della forza, sembra pronta ad approvare un primo pacchetto di sanzioni dell'Onu. Non subito, ma tra qualche settimana, verosimilmente a metà agosto. Un regalo assai gradito agli Stati Uniti che, non casualmente, ieri hanno evitato gli argomenti sgraditi al Cremlino. Gaffe a parte, Bush ha usato sulla democrazia in Russia toni molto diversi rispetto a quelli del suo vice Dick Cheney pochi giorni fa. Ha detto di aver avuto «ottime discussioni» con Putin che hanno consentito a entrambi di capire meglio le rispettive «filosofie di governo». Ha riconosciuto che la Russia ha tradizioni politiche e culturali diverse rispetto agli Usa e ha concluso con queste parole: «Vladimir è un leader forte, non ha bisogno dei miei consigli».
Retromarcia, dunque, a cui si accompagnano progressi su altri fronti. Sulla Corea del Nord, ad esempio. Analogamente all'Iran, la Casa Bianca e il Cremlino hanno avviato un dialogo per elaborare una politica comune di contenimento. E, naturalmente, le due cancellerie hanno messo la sordina alle diatribe sull'influenza americana in diversi Paesi dell'ex Urss, a cominciare dalla Georgia e dall'Ucraina.
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