C’è voluto «c...» per pubblicare l’«Urlo»

«Cara Nanda, l’editore ha accettato la mia proposta (l’unica, permanendo il moralismo della Magistratura Italiana, che ci permetta di realizzare l’edizione italiana delle poesie di Ginsberg)». Così scrive il 16 dicembre 1964 Elio Vittorini, editor Mondadori, alla traduttrice Fernanda Pivano, proponendole: il testo inglese lo forniamo integralmente al lettore, però bisognerà dare «la tua traduzione con omissioni nei punti incriminabili, contrassegnati da spazi bianchi o da righe di puntini (meglio le righe di puntini)».
Come mai tutta questa cautela? Howl - Urlo di Ginsberg, celebre poemetto-Bibbia della beat generation, circolava già da dieci anni e un po’ di carica trasgressiva l’aveva persa per strada, così come le altre poesie con cui la Mondadori voleva raccoglierlo in volume. Tuttavia «il moralismo della Magistratura» e di chissà quali ulteriori tribunali della coscienza in quell’Italia ancora molto bigotta avevano messo in allarme prima Vittorio Sereni (che stava tentando di portare Ginsberg in Mondadori su segnalazione del 1960 della stessa Pivano, nonostante fosse opzionato Feltrinelli), poi Vittorini stesso, che doveva assicurarsi che la silloge, oltre ad arrivare sui banchi delle librerie non venisse ritirata, dietro sentenza del tribunale.
Occorreva dunque andarci piano con le oscenità. Tra Vittorini e la Pivano, il più prudente era il siciliano. Nanda cercò di adeguarsi alle indicazioni di lui e dell’altro editor Mondadori di riferimento in questa vicenda, Raffaele Crovi, ma allo stesso tempo doveva vedersela con Allen Ginsberg, cui la legava un rapporto di amicizia. L’americano non voleva cedere di un millimetro alla censura, nemmeno in traduzione, e per di più voleva soltanto Nanda come interlocutrice. «Caro Vittorini - scrive esasperata la Pivano il 29 gennaio 1965 - ma porca miseria, è possibile che abbiano impiegato sei anni ad accorgersi che questo libro conteneva parole difficili da pubblicare? Tanto per cambiare la Mondadori mette nei guai me». Vittorini non sa che pesci pigliare: «Mi dispiace sentire che Ginsberg si propone di tenere una posizione rigida in merito all’edizione di Juke-box all’idrogeno. Beato lui, che non ha a che fare, come noi, con i procuratori della Repubblica».
Segue uno lungo scambio di missive editoriali che ha del grottesco; una estenuante contrattazione tra Nanda, Vittorini e Crovi su ogni parolaccia della traduzione. «Caro Vittorini - scrive Fernanda il 22 febbraio 1965 - a Ginsberg ho strappato la mezza promessa di mettere qualche iniziale col puntino. Non riesco a immaginare la parola “masturbazione” come una parola censurabile». La Mondadori si fa viva agli inizi di marzo con una serie di proposte, tipo: «Pagina 67, riga 45: sostituire “cazzo” con “membro”». Risposta, di pugno della Pivano sull’elenco delle modifiche richieste: «No». E poco dopo scrive: «Sto facendo del mio meglio, certo più di quanto non pensiate, ma non irrigiditevi troppo, se no va tutto all’aria». E ancora: «Non sono sicura che la parola “culo” vada assolutamente sostituita con puntini». I tre proseguono su questo tono per mesi, tra rimostranze e intransigenze dell’ufficio legale. 12 giugno 1965: «Caro Crovi, Ginsberg ha scritto lasciando arbitra me». 1 settembre 1965: «Caro Crovi, Ginsberg esclude la possibilità di quel taglio in Kaddish» (una scena di incesto con la madre). Come mediatore, entra in scena perfino Giuseppe Ungaretti, che si offre per convincere la Mondadori a prendersi qualche rischio in più. E così fino alla pubblicazione (zeppa di puntini e asterischi). 4 gennaio 1966: «Caro Vittorini, non riesco a crederci, ma pare proprio che questa sia l’ultima lettera che ti scrivo a proposito del Ginsberg: oggi ho firmato la tua copia».
Troverete questo strepitoso carteggio - inedito eccetto una sola lettera (il famigerato «Elenco delle varianti e omissioni Ginsberg») pubblicata nel 1970 - in mostra dal 5 aprile all’interno della più ampia rassegna «Fernanda Pivano. Viaggi, cose, persone» (fino al 18 luglio presso la Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Corso Magenta 59, Milano), ideata da Michele Concina con Enrico Rotelli (già curatore dei diari della Pivano per Bompiani), curata da Ida Castiglioni con Francesca Carabelli. «All’epoca della vicenda di Ginsberg - ci dice Michele Concina - per oscenità si finiva in prigione. Certe esitazioni della direzione letteraria Mondadori sono comprensibili. Ma non è di queste che mi voglio ricordare, ma di Nanda, che da sola le contrastava con coraggio.

Un esempio di impegno femminile da rivalutare. Rammento Nanda dire alle giornaliste che andavano a trovarla verso la fine della sua esistenza: sì, sì, tu oggi porti la minigonna e ne vai orgogliosa. Ma io, nel 1965, dovevo lottare per poter scrivere “culo”!».

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