Caduto il primo teorema, tocca al caso Diaz

Chi ha sbagliato pagherà, ma crolla l’ipotesi di «macelleria messicana». Ora il giudizio più atteso

Dove eravamo rimasti? Ah sì. Alla «macelleria messicana». Alla «catena di comando» fascista. All’«un-due-tre Pinochet». Svanito, cancellato tutto. Al G8 non fu tortura. Al G8 non partì un ordine dall’alto per massacrare gli innocenti no global. C’è chi ha esagerato eccome. E lo ha fatto anche indossando una divisa, commettendo un errore gravissimo, da condannare. Ed è stato condannato dal suo stesso datore di lavoro, lo Stato, che si è saputo giudicare colpevole insieme ai suoi dipendenti che hanno sbagliato. Nessuna volontà di dare colpi di spugna, nessun tentativo di insabbiare.
Lo hanno detto i giudici di Genova, con la sentenza sui fatti di Bolzaneto. Una sentenza complessa, in certe parti anche difficile da interpretare. «Contraddittoria, non equilibrata», l’ha definita qualche avvocato, che probabilmente dimostrerà le sue ragioni in appello. Ma una sentenza che ha smontato il teorema dei teoremi. Il teorema della premeditazione dello Stato che ha ordinato a polizia, carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria di massacrare dei bravi ragazzi andati a Genova per fare una passeggiata. C’è stata una sentenza. La prima grande sentenza del G8. O forse la seconda, se si considera l’assoluzione di Mario Placanica, il carabiniere che sparò per difendersi dall’assalto di Carlo Giuliani, armato di estintore. E ancora una volta a protestare contro i magistrati sono quelli che fino a un minuto prima avevano osannato i magistrati che sostenevano una tesi, quella dell’accusa, con forza ed enfasi. Ma che sostenevano comunque una teoria. «La giustizia in Italia si ha quando tra le tesi dell'accusa (che non sono una condanna anticipata) e quelle della difesa (che non sono un'assoluzione posticipata) si pone la libertà e l'indipendenza del giudice, capace di distinguere l'apparenza dalla sostanza e la verità dalla verosimiglianza», osservava ieri dall’alto della sua esperienza Alfredo Biondi, ex guardasigilli ma anche difensore (con successo) insieme al figlio Carlo e al collega Giorgio Zunino, di dieci carabinieri presenti a Bolzaneto. La sentenza del tribunale di Genova ha ricordato a tutti che quelle sentite finora non erano verità assolute, ma solo teorie.
Una svolta da sette anni a questa parte. Una svolta che potrà essere seguita all’occasione prossima ventura, quella del procedimento per l’irruzione alla scuola Diaz. Quella delle molotov, per sfruttare una semplificazione molto in voga. La sentenza di Bolzaneto ha già detto però una cosa importante: che se ci saranno condanne per l’irruzione alla Diaz, non è perché tutta la polizia di Stato, dal suo capo (anzi dall’allora ministro dell’Interno) fino all’ultimo agente antisommossa, quella sera avevano organizzato una scampagnata con caccia all’uomo. O perché tutte le forze dell’ordine si erano riunite in qualche osteria dell’angiporto per inventarsi la trappola delle finte molotov. La tesi è suggestiva. Splendida per i romanzi, magari anche utile se rimbalza spesso prima di ogni udienza. Ma la sentenza di un tribunale è un’altra cosa. Non è una promozione da supermercato, un tre per due che vende in stock tutti i poliziotti presenti al momento del fatto.
Una sentenza non dà neppure la certezza assoluta.

E infatti i condannati dal tribunale di Genova potranno fare appello per spiegare che loro, nonostante siano stati tutti assolti dall’accusa di aver torturato i no global, non sono soddisfatti per essere stati comunque giudicati colpevoli per reati meno gravi. Sono le «contraddizioni» della sentenza su cui si può discutere. Quello che ormai è solo una teoria superata è il teorema del complotto totale.

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