Cultura e Spettacoli

«Calls» chiama e lo spettatore resta in ascolto

«Calls» chiama e lo spettatore resta in ascolto

È destino dell'avanguardia, quello di veleggiare tra il consenso fideistico degli adepti e rischiare l'insuccesso di pubblico proprio perché troppo in anticipo rispetto ai tempi. Se pensiamo poi a quelli di oggi, così difficili e imperscrutabili, l'isolamento dal mondo ci ha portati a ipotizzare il futuro senza sapere esattamente cosa sarà l'intrattenimento dopo la pandemia. Media tradizionali e social si interrogano a proposito delle strategie da adottare: da una parte l'overdose di immagini, figure che parlano per noi, svelano tutto ciò che c'è da sapere, che vogliamo dire e non dire. All'opposto sta il ritorno alla parola, alle forme di narrazione più immateriali e astratte. Inconciliabili o forse no, queste due forme si riassumono, la prima su Instagram, la seconda su Clubhouse, ultimo nato tra gli strumenti tecnologici virtuali che, a differenza degli altri supporti digitali non ha memoria e vive sull'istantaneità del momento.

Anche la televisione è costretta a chiedersi se bastino le immagini più patinate per attirare la nostra distratta attenzione. Secondo Calls, il nuovo prodotto lanciato da Apple tv, parrebbe di no. E siamo alla sperimentazione pura, pur con i suoi riferimenti storici: nove episodi di 12 minuti circa ciascuno, il tempo valutato come il massimo per una conversazione telefonica in cui due o più persone sono coinvolte in altrettante situazioni paradossali che finiscono per diventare drammatiche e assumere il carattere di un thriller. Sullo schermo passano soltanto onde sonore riprodotte da una grafica contemporanea e nervosa. Non si vede nulla, eppure si sta incollati al monitor pressoché vuoto, mentre alle voci è demandata l'interpretazione drammaturgica per piccoli e inquietanti thriller con possibile finale apocalittico.

Ideata, scritta e diretta da Fede Álvarez, a sua volta ispiratosi a una serie francese, Calls ci permette di entrare come intercettatori o spie in una conversazione privata (non che questo strumento illegale non venga abbondantemente usato nella realtà) e diventarne nostro malgrado coprotagonisti. Si accennava ai precedenti storici di un esperimento - quello di depotenziare del tutto l'immagine - pensando ad alcuni fondamentali radiodrammi come La voce umana scritto da Jean Cocteau per il teatro nel 1930. Proprio negli anni '30 vi si cimentarono Marinetti, Cecchi, Beckett, Bontempelli, fino al celeberrimo La guerra dei mondi di Orson Welles distribuito nel 1938 in America da CBS. In tempi più recenti, il film testamento Blue di Derek Jarman, pellicola monocroma per voce narrante, esempio di cinema astratto seppur con una forte narrazione.

L'idea di riprendere, attualizzandolo, un sottogenere così desueto è certamente interessante. Che poi Calls resti negli annali della storia della tv è improbabile, però l'esperimento intriga e affascina, oltre a porre un interessante quesito su come si può oggi fruire lo spettacolo televisivo: non necessariamente attraverso lo sguardo.

Ecco perché potrebbe funzionare anche meglio se pensato come un podcast.

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