Cambia il rapporto tra banche e imprese

La crisi sta profondamente modificando il sistema dei finanziamenti alle Pmi. Come? Se ne è parlato all'apertura del convegno organizzato da BancaFinanza

Cambia il rapporto tra banche e imprese

Imprese e banche lavorino insieme per la crescita. Facendo ognuna il proprio dovere. Ma avendo ben chiaro che niente sarà più come prima perché la crisi ha cambiato il mondo. E lo cambierà sempre più di fretta. Per cui «vince il più veloce e non il più grande», ha detto Angela Maria Scullica, direttore di BancaFinanza, il magazine che, con il contributo del ministero dello Sviluppo economico, della Regione Lombardia e della Provincia di Milano, ha organizzato il convegno Finanziare la ripresa. Un nuovo rapporto tra Pmi e banche, svoltosi lo scorso 10 ottobre nella sede di Assolombarda a Milano. Se niente sarà più come prima, istituti di credito e imprenditori da qualche tempo stanno cambiando davvero prassi, abitudini e strategie. Le banche hanno cominciato a prestare il credito, che costa e non è illimitato, solo a chi lo merita. Ma non è finita, avverte Luigi Casero, sottosegretario all’Economia e alle Finanze: le banche si stanno rendendo conto che il modello economico di sviluppo italiano sono soprattutto le Pmi. «Con loro», sottolinea Casero, «il lavoro nel back office diventa più faticoso perché sono tante e poco capitalizzate, ma non c’è alternativa». Anche i piccoli imprenditori sono costretti a cambiare mentalità perché sanno che per meritarsi il fido dagli istituti di credito devono usare un linguaggio trasparente. Una regola che difficilmente cambierà da qui in avanti, ha confermato il sottosegretario: «I bilanci che verranno presentati alle banche dovranno essere basati su reali obiettivi di crescita». TRASPARENZA «Maggior trasparenza delle banche in cambio della loro disponibilità a fornire credito», rimarca Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, associazione che raggruppa 6.000 aziende. Di queste, «400 sono nate, negli ultimi tempi, proprio grazie al sostegno delle banche locali, mentre 4.000 aziende medie si sono fortemente capitalizzate». Ecco perché la collaborazione tra aziende e sistema del credito deve poggiare sulla reciproca stima. Lealtà reciproca. Ma non basta. Nel messaggio inviato al convegno, il governatore lombardo Roberto Formigoni non ha usato mezzi termini: «Le imprese vincono se sono competitive, però la competitività ha bisogno di risposte veloci, e queste risposte le devono dare banche e politica». Per quanto riguarda quest’ultima, Paolo Giovanni Del Nero, assessore all’industria, piccole e medie imprese, artigianato, commercio, formazione professionale, lavoro della Provincia di Milano, dice di essere stato vicino alle imprese. «Abbiamo puntato su lavoro e sostegno alle Pmi facendo emergere le eccellenze e sostenendo l’accesso al credito» ha puntualizzato. Grazie, infatti, alla sottoscrizione di un accordo integrativo con un confidi, 303 imprese sono state finanziate per un totale di quasi otto milioni di euro di finanziamenti erogati, corrispondenti a quasi sei milioni di euro di garanzie. «Questi sono stati i risultati dell’iniziativa, avviata nel 2009 e realizzata grazie alla collaborazione tra Provincia di Milano e Federfidi Lombarda, per favorire l’accesso al credito (un milione lo stanziamento) delle Pmi del territorio milanese potenziando il sistema delle garanzie». Del Nero ha come interlocutori quasi 285.000 imprese che costituiscono il 34% delle imprese lombarde e più del 5% di quelle italiane. Nessuna meraviglia: l’area metropolitana milanese è il territorio più ricco ed economicamente più sviluppato d’Italia e negli ultimi anni Milano ha consolidato la propria leadership nazionale nel campo dell’innovazione e delle tecnologie vantando, parallelamente, una lunga tradizione in alcuni settori produttivi. E sono moltissimi gli imprenditori che hanno rapporti quotidiani con più banche. E chiedono di essere supportati dai confidi. Grazie, infatti, alle loro garanzie sono l’ultima opportunità che hanno le imprese in difficoltà per accedere al credito e a costi accessibili. Perché, sottolinea Ernesto Ghidinelli, responsabile del settore credito di Confcommercio, le tensioni finanziarie tra banche e imprese nascono anche dal minor credito, e concesso a caro prezzo. Il tutto mentre sullo sfondo il mondo delle imprese comincia a intravedere una nuova stretta al credito. Se questa è la situazione, avverte Ghidinelli, le banche non applichino le regole di Basilea 3 perché il rischio che si corre è quello di «contingentare il credito alle imprese» e senza i soldi delle banche, per molte aziende, sopravvissute alla prima crisi globale, sarebbe il disastro. PRESTITI Ma qual è il pensiero di chi fa banca?  «Gli imprenditori ci presentino progetti. Credibili. E i soldi per loro ci saranno», sottolinea Marguerite McMahon, capo divisione Banks Italia e Malta della Banca europea per gli investimenti (Bei), l’istituzione finanziaria per i prestiti a medio-lungo termine dell’Unione europea. E per suffragare questa disponibilità, ecco un dato interessante: la Bei negli ultimi cinque anni ha finanziato circa 60.000 Pmi attraverso 30 gruppi bancari, incluse le aziende di credito di minori dimensioni come le banche di credito cooperativo. E dal 2009 a oggi, «ogni anno sono offerti alle Pmi 2,5 miliardi dei circa nove miliardi destinati all’Italia». Una quota rilevante è stata rappresentata anche dai finanziamenti ai trasporti e alle opere infrastrutturali (22%). Significative, infine, sono state anche le operazioni siglate nel campo della ricerca e sviluppo con aziende attive in una pluralità di settori e nel segmento del finanziamento del capitale umano. Guardarsi con sospetto non porta da nessuna parte. Si sono (quasi) convinti tutti. E oggi «tra le banche e le Pmi c’è la volontà di trovare soluzioni valide per entrambe». Abi e associazioni di categoria «stanno lavorando per questo», racconta Giovanni Sabatini che di Abi è il direttore generale. Si può centrare l’obiettivo, però, a due condizioni: le aziende devono cominciare a parlare lo stesso linguaggio del mondo bancario «e le banche devono valutare le imprese su elementi di qualità». Senza mai dimenticare che lo scenario si è fatto difficile. Di fronte a un mercato che prezza il rischio Italia circa 400 punti base in più del rischio Germania, il rialzo dello spread «si riflette sul costo della raccolta e quindi si trasmette sul costo del finanziamento al mondo produttivo». Il rispetto delle regole: è questo che serve. «Regole chiare, certe, fatte applicare con severità», perché la crisi mondiale è nata proprio «per assenza di regole». Ma bisogna anche valutare qual è l’impatto delle norme sul mondo produttivo. In parole semplici, ha sostenuto Sabatini, «regole sì, ma in sintonia con l’economia reale. Lo chiede l’industria bancaria e lo chiedono anche le imprese. Sono maturi i tempi per un impegno comune per far sì che l’applicazione di Basilea 3 sia conforme alla struttura produttiva nazionale ed europea perché così com’è formulata oggi rischia di provocare penalizzazioni per il sistema produttivo nazionale che è già messo a dura prova dalla crisi». RISCHIO DI CREDITO Banche e imprese, infatti, hanno comunicato una proposta che, senza mettere in discussione l’impianto di Basilea 3, prevede un meccanismo di correzione che limita i rischi di una restrizione del credito per le Pmi che il direttore generale di Abi ha definito l’«ossatura dell’economia italiana ed europea». In sostanza, l’iniziativa di Abi, Confindustria, Alleanza cooperative e Rete Imprese Italia prevede l’introduzione di un fattore moltiplicativo, il Pmi supporting factor, che applicato al calcolo del rischio di credito possa compensare l’incremento quantitativo del requisito patrimoniale minimo richiesto dalla direttiva ed evitare, così, il rischio di un restringimento del credito. «Abbiamo avviato un confronto a livello europeo» ha aggiunto Sabatini. Spiegando che i vertici di Abi e delle associazioni di categoria hanno già incontrato il vice presidente della Commissione europea e responsabile per l’industria, Antonio Tajani, e hanno fissato un ulteriore momento di confronto direttamente con il commissario per il mercato interno, Michael Barnier. Un altro tema trattato da Sabatini è stato quello della scadenza della proroga prevista da Basilea 2 per cui dopo solo 90 giorni, invece degli attuali 180, i crediti vengono inseriti nella categoria di quelli deteriorati, anticamera anticipata delle sofferenze. «La commissione regionale Abi Lombardia», ha detto, «ha siglato lo scorso settembre un protocollo d’intesa con Assolombarda per gestire gli effetti di questa regola, attraverso una sensibilizzazione delle banche e delle imprese. E ci impegneremo ancora per sensibilizzare la Commissione europea, insieme alle altre associazioni, per far sì che rimanga la prospettiva dei 180  giorni anche nel nuovo quadro normativo». Fare un downgrade sulle società di rating. Potrebbe essere questo il sistema vincente per limitare «il potere delle agenzie di rating che si muovono in branco, come ha detto il direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni» ha ricordato Sabatini. Che ha aggiunto: «È inammissibile che la Bce intervenga sui debiti sovrani impegnando miliardi di euro e poi, con il solo gesto di soggetti monopolistici, non sottoposti a vigilanza, i cui giudizi sono opachi e soggettivi, si manda tutto all’aria. Credo che sia venuto il momento che le autorità di vigilanza europee con la Bce affrontino questo tema per individuare soluzioni alternative». Si è parlato di debito. Appunto. Quello pubblico è una delle cause della mancata crescita dell’Italia, ha sottolineato Giuseppe Sopranzetti, direttore della sede di Milano di Banca d’Italia. «Negli ultimi 10 anni, il Pil francese è cresciuto del 12%, quello italiano del 3%». Ma colpa anche «di una minore produttività, della scarsa innovazione tecnologica e del modesto contributo del Mezzogiorno». Banche più solide per imprese più solide. Per raggiungere questo obiettivo, lo ripete anche Sopranzetti: «Ognuno deve fare la sua parte».

Le aziende devono trovare il giusto equilibrio tra mezzi propri e fondi finanziati, mentre dal punto di vista del credito, le grandi banche devono basarsi anche sull’informativa qualitativa circa le aziende, e quelle piccole devono «evitare il rischio di essere catturate dai furbi»

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