Ma le Camere non hanno chiuso i battenti

Paolo Armaroli

L’11 febbraio con distinti decreti il presidente della Repubblica ha sciolto i due rami del Parlamento e, su proposta del presidente del Consiglio e del ministro dell’Interno, ha convocato i comizi elettorali per il 9 e 10 aprile e fissato per il 28 successivo la prima riunione delle nuove Camere. Ora, la Costituzione stabilisce che la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. Dato che la loro prima riunione si è tenuta il 30 maggio 2001, si è trattato sì di uno scioglimento anticipato ma di natura meramente tecnica. Al fine di scongiurare elezioni in piena estate. Il che spiega perché in questo particolare scioglimento il governo abbia avuto voce in capitolo.
Ma, nonostante siano sciolte, le Camere non chiudono i battenti. Come hanno rilevato i loro presidenti, Pera e Casini, nelle sedute di martedì. Resteranno in carica, in regime di prorogatio, fino alla riunione delle nuove Camere. Insomma, si può dire che come istituzione il Parlamento non muore mai. Tuttavia i suoi poteri si affievoliscono. Anche se i chierici, che non vanno mai d’accordo tra loro, da sempre dibattono sulla estensione di tale affievolimento. Su una cosa però non ci piove, visto e considerato che la Costituzione è chiarissima al riguardo. Quando il governo adotta decreti legge deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. In tal caso le Camere riacquistano pienezza di poteri e tornano pertanto a essere con il governo contitolari dell’indirizzo politico.
È invece aperta la questione se il governo, e soprattutto un governo come quello presieduto da Berlusconi che rassegnerà le dimissioni solo all’apertura delle nuove Camere, possa porre la questione di fiducia sulla conversione dei decreti legge. A quanto pare, il Quirinale sarebbe contrario. Perché se il governo non dovesse ottenere la fiducia, si vedrebbe costretto alle dimissioni. E il capo dello Stato, dopo le consultazioni di rito, dovrebbe formare un nuovo ministero che, una volta ottenuta la fiducia di Camere in articulo mortis, sarebbe destinato a durare pochi giorni. Difatti dovrebbe rassegnare le dimissioni all’inizio della nuova legislatura.
Tuttavia questa non è altro che una ipotesi di scuola. Perciò ben potrebbe il governo porre la questione di fiducia in via del tutto eccezionale. A suo rischio e pericolo, si capisce. Magari tenendo a mente la risposta che il generale Cittadini dette a Vittorio Emanuele III, che gli domandava come si sarebbe comportato l’esercito nel caso di stato d’assedio volto a fermare nell’ottobre 1922 la marcia su Roma: «Maestà, l’esercito farà il suo dovere. Come sempre. Ma sarebbe meglio non metterlo alla prova».
Fino al 1972 le Camere sciolte non si sono mai riunite. Ma, a partire dal 1976, le cose sono andate altrimenti. Ormai più nessuno dubita che il Parlamento possa riesaminare leggi rinviate dal Quirinale. Finora si era registrato un solo caso. Difatti la Camera esaminò la legge sull’obiezione di coscienza rinviata da Cossiga tra la fine di febbraio e i primi di marzo del 1992. Ma poi fu costretta a gettare la spugna. Stavolta, sulla legge relativa alla inappellabilità delle sentenze di assoluzione, per fortuna tutto è andato per il meglio. Perché la sua definitiva approvazione da parte del Senato, dopo il suo scioglimento, è subito apparsa scontata. In teoria, poi, le Camere possono fare molte altre cose. Per esempio, esaminare i disegni di legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati, procedere alla verifica dei poteri e all’approvazione dei bilanci interni. Né ormai da tempo sono precluse le interrogazioni a risposta orale. In teoria, si è detto. E a ragion veduta. Infatti, quando il Parlamento è sciolto, è più che mai difficile il raggiungimento del numero legale. Così, come certe signore castigate che sognano evasioni, anche le Camere vorrebbero ma non possono.


paoloarmaroli@tin.it

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