Il Campiello trasformato in un improvvisato campo di battaglia per la guerra dei sessi? Venerdì scorso la discussione sulla cinquina di autori da sottoporre alla giuria popolare era apertissima. Il presidente Gianni Letta trovava particolarmente toccante il libro di Melania Rizzoli (Perché proprio a me?), gli altri giurati battibeccavano sui nomi di Andrea Vitali, Andrej Longo, Giuseppe Lupo e Francesco Recami. Più sicura appariva la posizione di Paolo Di Stefano e delle esordienti Benedetta Cibrario e Eliana Bouchard. Insomma, il barometro delle votazioni informali indicava «variabile». Così tra le molte ipotesi ha fatto capolino quella di premiare laltra metà del cielo. Allora di cena sembrava però unidea come unaltra. Poi i giurati avrebbero dovuto andare a nanna allHotel Methis.
Evidentemente alcuni non avevano sonno, così si è formato un accordo di maggioranza per promuovere una cinquina femminile. Con gran sorpresa mattutina dei giurati non facenti parte del «cartello»: Lorenzo Mondo, Gianluigi Beccaria, Salvatore S. Nigro, Silvio Ramat. E poi, alla votazione definitiva, ecco lesito che nessuno si aspettava: quattro donne (Benedetta Cibrario, Cinzia Tani, Chiara Gamberale, Eliana Bouchard) e un maschietto solitario (Paolo Di Stefano). Insomma, è saltata Melania Rizzoli che piaceva a Letta. Saltata lidea della cinquina en rose. Saltati una serie di autori che la critica apprezza parecchio. Come a dire: la ciambella non è riuscita a nessuno, il buco a tutti.
Inevitabile allora la polemica. Silvio Ramat, giurato di «minoranza», ci dice: «Non mi sembra che fosse il caso di pensare a una cinquina rosa per avere risalto mediatico, il premio già ce lha. Lidea di andarsi a trovare una soluzione originale in mancanza di capolavori non mi è piaciuta, sono rimasti fuori autori importanti». Salvatore S. Nigro, il cui voto ha molto contribuito a far entrare in cinquina Di Stefano e di conseguenza a far uscire di scena la Rizzoli, è più serafico: «Ma insomma le quote... ma no, deve restare una questione di letteratura. Quanto al libro della Rizzoli è toccante ma non è unopera di narrativa. Ha sbagliato la giuria tecnica a farlo entrare in concorso. Non è questione di merito, ma di genere».
Per Philippe Daverio, sostenitore sia della svolta «rosa» che del libro di Melania Rizzoli, quel che conta è laria di novità: «Tanto rumore per nulla... I parametri della narrativa vanno allargati...
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