Cardinale: amo la Tunisia anche se da piccola ero la «sporca italiana»

Maurizio Cabona

da Parigi

«I compagni di scuola mi urlavano: “Sporca italiana”. Ero una bambina coi modi del maschiaccio e reagivo a colpi di cartella, che era di legno. Me l'aveva fatta mio padre, perché a quei tempi nei negozi non c'era niente. La maestra mi voleva bene e cercava di proteggermi, leggendo il mio cognome “Cardinal”: non pronunciava apposta la “e” finale (muta in francese, del resto, ndr), perché non sembrassi italiana. E allora io aggiungevo: Richelieu è un mio parente!».
Claudia Cardinale me lo racconta nel suo appartamento di Parigi, con vista sulla Senna. E aggiunge: «A quel clima si era arrivati per la guerra. Quando fu dichiarata, come molti altri italiani in Francia e nelle sue colonie, mio nonno materno, Gaspare Greco, era stato messo in campo di concentramento. Ma la mia famiglia era molto composita: fra siciliani, corsi e alsaziani era difficile evitare attriti. Così nonna Rosa diceva: “Qui comando io e in famiglia non si parla di politica”».
Una vita di successi - da I soliti ignoti in poi - non ha cancellato quei ricordi nella Cardinale. Quando girava quel film, che l'avrebbe imposta in Italia, erano passati solo dodici anni dal 1945. Proprio allora aveva cominciato la scuola. Se gli italiani di Tunisi sapevano d'aver perso la guerra, i francesi di Tunisi - e non solo quelli - avevano accettato la sconfitta con Pétain, ma ora s'illudevano d'avere vinto grazie a de Gaulle: volevano la rivincita sull'armistizio del 1940 e sull'occupazione del novembre 1942-maggio 1943. Così sulle Alpi, la Francia prese Briga e Tenda, dove da un giorno all'altro si dovette parlar solo francese. In Nord Africa la discriminazione colpì anche chi era nato lì e aveva il francese per lingua madre. Come lei.
Tunisi, tappa finale della ritirata del Regio esercito, cominciata a El Alamein. Ormai per americani e inglesi la via della Sicilia era aperta: avrebbero fatto la stessa traversata dei nonni della Cardinale, originari del Trapanese, ma in senso inverso e con opposte intenzioni. Del resto, sloggiare l'Asse dalla Tunisia non era stato facile e vari film americani - I giovani leoni, Patton, generale d'acciaio e Il grande uno rosso - rammentano il prezzo di sangue. Ma la Cardinale ricorda gli americani della sua infanzia con un episodio bagnato solo di lacrime: quelle del soldato che la prese in braccio, commosso perché lei gli ricordava la sua bambina, oltreoceano.
«Sono rimasta italiana - scandisce - anche se, dopo i miei primi diciott'anni a Tunisi, negli ultimi diciotto ho vissuto a Parigi. Però sono multiculturale e in nessun posto mi sento come a Tunisi. Il bene che mi vogliono tunisini e maghrebini in genere mi emoziona. Molti di loro sono taxisti a Parigi e, quando mi riconoscono, non vogliono farmi pagare la corsa».
Per Nietzsche «il futuro appartiene a chi ha la memoria più lunga». Ma il senso che dava alla memoria non era quello del risentimento esploso nel boulevard St Germain, quando una donna, francese pied noir (così erano chiamati i coloni, per gli stivali portati nelle campagne, ndr), «pochi anni fa mi ha fermato - racconta ancora la Cardinale - per rinfacciarmi che la mia squadra di pallacanestro aveva battuto la sua, al liceo, mezzo secolo prima!». Accenno: «Forse si ricordava di lei e quello era un pretesto per parlarle... ». «Ma mi ha aggredito! E poi allora per me lo sport era normale. Passavo il tempo allo stadio, perché facevo anche atletica. Sono sempre stata irrequieta: quando prendevo il treno - spesso, perché frequentavo il liceo a Cartagine, a venti minuti da Tunisi -, mi piaceva salire mentre era già in corsa. E in classe cambiavo sempre posto. Mi chiamavano lézard (lucertola), perché seguivo gli spostamenti del sole». E il sole non manca nemmeno nel suo appartamento, ora: entra dalle finestre e si riflette sui premi in mostra su due tavoli e sopra e alla base del caminetto. Leone d'oro e Orso d'oro alla carriera, Legion d'onore, suprema decorazione francese. È lontano quel 1945, la «e» finale ora si può pronunciare con orgoglio. La pronuncia volentieri anche «il sindaco di Parigi, Bernard Delanoë, nato a Tunisi anche lui e sempre così gentile con me», spiega la Cardinale: «Mi ha fatto presentare il Festival di Parigi e inaugurare il museo del Grand Palais». Mi fa vedere i fiori che il sindaco le ha mandato e aggiunge: «Bernard mi considera una sorella».
Fratelli tunisini, anche se non fratelli musulmani. Dal punto di vista religioso, come da quello politico e sociale, la Tunisia è cambiata. «Nella Tunisia dove sono cresciuta, non c'era - mi racconta la Cardinale - conflitto di civiltà. La mia famiglia era lì da tre generazioni. Mio nonno aveva un cantiere nel quartiere portuale, dove nel 1995 ho interpretato il film di Ferid Boughedir Un'estate a La Goulette, ambientato prima della Guerra dei sei giorni. È nel 1967 che si è scavato il primo abisso fra le comunità religiose nell'area fra Africa settentrionale e Asia minore, a prevalenza arabo-musulmana. Nella mia Tunisia però si rispettava ogni fede: alla processione della Madonna di Trapani si accodavano anche musulmani ed ebrei».


«Que reste-t-il de ces beaux jours?», come cantava da Radio Parigi Charles Trenet, quando a Tunisi la Cardinale non andava ancora alle elementari e il tricolore bianco, rosso e verde sostituiva quello bianco, rosso e blu. «Della mia Africa mi rimane il silenzio del deserto. Quando posso, a dorso di cammello torno fra le oasi».

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