Cari amici TQ, la Bellezza non è di Stato

Pochi manifesti, ultimamente, hanno collezionare una sequenza di ovvietà e di giudizi storici indifendibili come il manifesto lanciato ieri dal «Gruppo TQ», gli scrittori «impegnati» 30-40enni. Pubblicato sul loro sito, riguarda come difendere e dare valore al nostro patrimonio storico-artistico.
Il testo si apre con una trafila di considerazioni ovvie, che dovrebbero essere date ormai per scontate: «Occorre affermare con forza la funzione civile e costituzionale del patrimonio», perché esso «serve all’aumento della cultura», e per far questo occorre dare spazio e dignità intellettuale alla storia dell’arte nelle scuole e nei media. Enunciazioni di principio sottoscrivibili da chiunque, tanto sono generiche. Ma ciò che rende il manifesto degno di nota sono le conclusioni - insostenibili - che i firmatari propongono affinché si realizzi la funzione civile dei beni culturali. «Il patrimonio di proprietà pubblica deve essere mantenuto con denaro pubblico». Insomma siamo di nuovo alla sovietizzazione del patrimonio: solo lo Stato se ne può occupare perché è il tutore del bene comune, mentre i privati pensano solo a se stessi. Posizioni del genere non si trovano più neppure a Cuba. «Il fine del patrimonio non è quello di produrre reddito» e «il patrimonio storico-artistico NON è il petrolio d’Italia». Come si può oggi, dopo decenni di collaudata letteratura scientifica, pensare che il reddito infetti la purezza dell’arte? Il patrimonio è senza dubbio il petrolio - cioè una ricchezza - d’Italia perché da secoli ne ha determinato memorie, guerre, scissioni, testamenti. Le bellezze d’Italia sono da sempre contese, attraverso cui gli uomini hanno mercanteggiato ed educato. Chiese e regge sono state costruite per profitto, potere, prestigio. Come si fa a escludere questa totalità di interessi dicendo che le bellezze non hanno a che fare con il reddito?
«Il patrimonio di proprietà pubblica deve rimanere tale e sono inammissibili le alienazioni a privati». Come si può pensare che lo Stato si prenda carico di tutto? «Il patrimonio è laico: anche quello religioso. Al significato sacro delle grandi chiese si è sovrapposto un significato civile che impedisce alla gerarchia ecclesiastica di disporre a suo arbitrio di tali porzioni del patrimonio stesso». I preti dovranno chiedere il permesso ai tutori del patrimonio per le Messe? Se a una chiesa togli il significato cristiano, quale altro significato rimane agli altari? Sul finale, il botto. Le Facoltà dei beni culturali non valgono nulla perché sfornano tecnici inadeguati a capire il valore umanistico dell’arte. Insomma ai laureati il manifesto dice che sono degli inetti, proni alla «visione mercantilistica» che oggi va per la maggiore e svende i tesori di Stato.

Il patrono di questo manifesto è Salvatore Settis (che ieri su Repubblica ne tesse le lodi). Resta da capire come fanno i 30-40enni a sostenere ancora tesi senza alcun fondamento storico-filosofico, improponibili in un Paese moderno.

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