Cari falsari cinesi, imparate da noi napoletani

Fra i tanti slogan del Carosello (ne vogliamo ricordare qualcuno? Sì, ricordare Carosello fa sempre bene: «Cynar, contro il logorio della vita moderna», «Hai una buona cera. Ottima direi: è cera Gray»; «Dura minga. Non può durare») c’era anche una canzoncina che faceva così: «Colgate con Gardol, pulisce l’alito/ mentre pulisce i denti/Colgate con Gardol». A quel tempo, la Cina già esisteva (la Cina è sempre esistita), ma si faceva i fatti e i falsi suoi.
C’erano il falso riso, il falso tè, la falsa seta, i falsi ventagli, eccetera, tutto ad uso e consumo dei soli cinesi. Nulla vieta di pensare che nel corso dei millenni, nella nazione più popolata del mondo si sia falsificato anche il Fiume Giallo, la Grande Muraglia, le torture cinesi (dovevano essere più blande), e forse anche Marco Polo.
Da un po’ di tempo a questa parte, i falsificatori cinesi hanno spostato la loro attenzione sull’Italia, come se da noi non avessimo imitatori «doc». Meno antica della Cina, ma pur sempre millenaria, Napoli ha sempre avuto il copyright del falso. Ma vuoi mettere? Le nostre sono - per lo più - piccole truffe, veniali espedienti per vivere, per tirare a campare, come diciamo, e in non rari casi il potenziale acquirente è perfino informato della contraffazione: «Autentici falsi Valentino». Certo, si tratta di illeciti, ma un giornale stirato e rivenduto sui treni, un libro fotocopiato (e il sottoscritto ne sa qualcosa!), un cd o un dvd doppiato da uno originale, una borsa, una cintura, una calzatura falsa, non ha mai mandato all’ospedale o all’obitorio qualcuno.
I nipotini di Mao (anche lui un falsario: si presentò come Padre della patria, e fece 60 milioni di morti) non hanno la fantasia dei napoletani, ma poco se ne dolgono.
Per loro l’importante è far soldi, anche a costo di spedire al Creatore la gente. E così ecco che il mercato italiano, oltre che da giocattoli pericolosi, è invaso da pomodori, mele, pere, aglio, mozzarelle, parmigiano (meglio sarebbe chiamarlo parmigiallo) contraffatti (in Cina si falsifica anche l’acqua, e forse gli stessi impianti di depurazione). Una pirateria alimentare che costa allo Stato 50 miliardi di euro l’anno. Ma il peggio viene dai farmaci, che fanno registrare nel mondo 200mila morti l’anno.
«Maramao perché sei morto/pan e vin non ti mancava/l’insalata era nell’orto...» si domandava il Trio Lescano.

Quello era un gatto, ma fosse stato lo Tse-Tung che conosciamo, si poteva supporre che avesse mangiato una delle polpette al cartone pressato di recente esportazione (che andavano forte, di sicuro, anche al suo tempo) e poi lavato i denti col Colgate.
mardorta@libero.it

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