«Caro senatore Musso, lei mi piace Ma sul processo breve ha sbagliato»

Credo, caro senatore Musso, dopo aver letto la sua risposta a Massimiliano Lussana, sul Giornale, di non essermi sbagliato sul suo conto. Ricorderà che in passato attraverso modesti interventi sullo stesso quotidiano ho caldeggiato le sue diverse candidature alla carica di Sindaco e al Senato della Repubblica. Ho poi sostenuto la necessità di una profonda sinergia (reciproca) fra Lei e Sandro Biasotti in vista delle rispettive corse per la Regione e per il Comune. La mia era una presa di posizione del tutto libera da eventuali contropartite, un'opinione o se vuole una convinzione espressa e sostenuta gratis et amore Dei. Il fatto che Lei abbia messo a disposizione la sua nomination anticipata per la corsa in Comune testimonia benissimo la Sua onestà e coerenza (il che, sia detto, in politica non è mai cosa trascurabile). Stando così le cose la Sua astensione al Senato sulla votazione riguardante il cosiddetto «processo breve» non mi preoccupa poi molto anche se dissento del tutto in proposito. D'altra parte debbo dirLe che suscitano in me scarso interesse e nessuna suggestione quelle comprensioni e lodi (interessate?) di presidi (sedicenti?) storici e di cantautori d'antan il cui utilitarismo in politica è sempre stato di tempestiva perentorietà. Debolezze e frivolezze a parte (da qualsiasi parte provengano), purtroppo il problema è un altro e da esso siamo tutti più o meno condizionati. Il periodo dopo la seconda guerra mondiale ci ha dimostrato che un vero «liberalismo» in Italia non ce lo possiamo permettere. Credo che la risicata pattuglia dei liberali liguri abbia a malincuore dovuto accettare questa lezione della storia, quando di fronte al crollo dei paesi dell'Est ha assistito nella sinistra italiana ad un processo trasformistico senza pari che ha permesso a quella federazione di clientele di conservare una parte ragguardevole del suo consenso elettorale. Quella lezione da parte della storia europea proveniente dalle pianure ventose dell'Est non ha modificato la mentalità di gran parte degli italiani che, o per istinto o a ragion veduta, avrebbero dovuto trasformarsi in larga misura in un popolo di liberali e di moderati. Non vi è dubbio che sono nati movimenti e formazioni politiche di centrodestra (verso i quali ambedue siamo orientati) ma non si è costituita nel complesso una società davvero coesa, come altre che in Europa lo erano già ben prima del crollo del muro di Berlino. Probabilmente la scissione, frutto del disastro italiano nella seconda guerra mondiale (per nulla sanata dalla cosiddetta «Resistenza»), che si è perpetuata fino ai nostri giorni fa capire quotidianamente che, per nostra sfortuna, continuerà ancora. La sinistra non è riuscita a trasformarsi in un partito socialdemocratico e quindi resta per sua natura una forma di giacobinismo agitatorio cui per motivi differenti si affiancano ora l'una ora l'altra fazione, presente nel frammentato, per tradizione, arco del concreto e sciagurato iperparlamentarismo italiano. È un movimento questo che non va assecondato in ogni caso (altro sono naturalmente le dinamiche delle relazioni industriali e di lavoro in genere, dove la presenza di sindacati seri, duri e responsabili è non solo auspicabile ma necessaria) perché il nostro paese è di fronte a scelte difficili in relazione a come si viene configurando la situazione internazionale.
In quest'Italia dove un determinato ristretto numero di magistrati ricordano da vicino quelli descritti dal poco commendevole scrittore Pitigrilli (finito poi in Francia come finto esule a spiare su incarico dell'Ovra veri o presunti antifascisti) che operosamente si affaticano a surrogare con le loro inchieste a orologeria l'incerta politica di un'opposizione sempre meno sicura della fondatezza della propria esistenza; in quest'Italia dove l'area cattocomunista continua, auspicando, ad adoperarsi per trasferire più o meno artatamente nel nostro paese quantità di extracomunitari destinati in larga misura a dimensionarsi in un esercito di riserva che non accederà mai al lavoro, perché quest'ultimo è già scarso per gli stessi migranti nel nostro territorio ed è raro per gli Italiani; in quest'Italia, appunto, la resistenza e l'opposizione deve essere perpetuata «senza se e senza ma» nei confronti di questo stesso fronte che è venuto sviluppandosi come una vera e propria piaga sociale e antinazionale, ben consapevole esso che il colpire il Presidente del Consiglio è la prima pietra (o la prima statuetta del Duomo meneghino?) per diroccare il centrodestra e ricondurre il nostro paese nello squallido «bagnomaria» delle ambiguità dell'Onu e nelle incertezze della politica della Comunità Europea, gli unici idoli loro rimasti dopo il crollo del sognato (da loro!) «servaggio» filosovietico (ben più duro rispetto all'occidentalissimo prepotere degli Usa).
Senatore, credo che non vedremo mai davvero un'autentica Italia liberale (dove un governo moderato, abbia un'opposizione appunto liberale o un governo liberale un'opposizione responsabile e moderata).

Non ci è storicamente toccata per ironia della sorte o per destino (cinico e baro). Cerchiamo almeno, restando compatti nel centrodestra, di allontanare i cascami dell'eterno dopoguerra e i fautori dell'eterno centrosinistra.

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