Politica

Carta intoccabile? Sì, ma solo quando fa comodo al Pd

Possiamo solo «inchinarci davanti alla Costituzione»? L’invito perentorio di Veltroni a Berlusconi riapre un’antica discussione e una vecchia ferita nella sinistra. La risposta non può essere un secco «no» o un dirompente «sì». Lo si capisce meglio se cambiamo la domanda: ci siamo sempre inchinati di fronte alla Costituzione? Nella sinistra la risposta non è mai stata univoca.
Lo schieramento guidato da Veltroni è stato più volte accusato dai radical e dai pacifisti di aver violato la Costituzione. Pietro Ingrao, guru del comunismo riformato, mentre imperversavano i bombardamenti su Belgrado, durante la guerra del Kosovo, richiamò la violazione dell’articolo 11 della Costituzione, in cui si «ripudia la guerra come mezzo di offesa», e lanciò l’accusa terribile: «In questi anni diversi governi, compresi quelli del centrosinistra, hanno violato la Carta costituzionale, nel silenzio complice dei vertici istituzionali». Quirinale e stato maggiore della sinistra sono stati accusati di aver messo in mora la Magna Charta ogni volta che ci si è trovati di fronte a missioni militari fuori dal nostro territorio.
Ma non è solo sulla guerra che la Carta del ’46 si è rivelato come un tabù «violabile». Con la Bicamerale di D’Alema l’intera seconda parte della Costituzione venne riscritta in modo radicale soprattutto nella parte che riguardava i rapporti fra la magistratura e le altre istituzioni e solo la rottura politica fra centrodestra e centro-sinistra impedì di sostituire il testo del ’46 con norme del tutto nuove. Se andiamo indietro nel tempo troviamo altri esempi. Prima della Bicamerale il Pci aveva più volte messo in discussione il proprio rapporto con le norme fondamentali. Dobbiamo ricordare che solo nel ’70 si è arrivati alla creazione delle Regioni mentre per tutti i precedenti ventiquattro anni il principale partito della sinistra vi si era opposto. Così come tuttora resta inattuata, e quindi violata, la parte della Magna Charta che impone una regolamentazione dei partiti e dei sindacati. Con questi esempi siamo di fronte a un mancato inchino di fronte alla Carta che rimanda a un comportamento omissivo. Cioè inchiniamoci di fronte al Supremo Testo ma non lo applichiamo in tutte le sue parti.
La discussione sulla Carta ha avuto nella sinistra anche momenti particolarmente alti con riferimento a quella parte, la prima, che viene considerata oggi come inattaccabile. Fu sempre per impulso della riflessione di Pietro Ingrao che la sinistra si è imbattuta nel tema dei nuovi diritti che non sarebbero tutelati, per vetustà, dalla Carta costituzionale. Gli esempi erano (e sono) molteplici: dal diritto all’informazione nell’epoca della comunicazione di massa con l’esplosione informatica, al diritto all’ambiente, che ha conosciuto soprattutto negli ultimi decenni una crescita di attenzione e di sensibilità, ai nuovi diritti di cittadinanza. La possibilità di riformare la Costituzione, nella seconda ma anche nella prima parte, non è mai stato, un tabù. Del resto la stessa Carta prevedendo la propria riformabilità ne suggerisce la modalità con votazioni ripetute, maggioranze qualificate e il ricorso al referendum popolare. Il tema dell’inchino di fronte alla Costituzione, quindi, non è un tema costituzionale ma un elemento di battaglia politica.
L’evoluzione della discussione attorno ai principi fondamentali ha fatto grandi passi in avanti in questi ultimi tempi e mai ci si è arresi di fronte ai principi e alle istituzioni sanciti nella Carta. Da Craxi in poi il tema della Grande riforma è entrato nel dibattito corrente. Lo stesso Veltroni, in tempi recentissimi, ha espresso predilezione verso forme di governo non santificate dalla Carta costituzionale.
La natura della nostra Carta, una costituzione rigida e non una dichiarazione di diritti e doveri, rende assai discutibile la regola monacale dell’«inchino». Anche la più rigorosa religione laica comporta l'adeguamento ai tempi, l'evoluzione, la riforma. Il vero punto invalicabile è che le modifiche, della prima e della seconda parte, debbano essere concepite e realizzate entro il sistema parlamentare e non fuori e/o contro di esso. È per queste ragioni che un’espressione come «inchinarsi davanti alla Costituzione» è una dichiarazione di guerra politica che non corrisponde né alla storia della Costituzione né al dibattito fra le forze costituenti attorno alla sua riformabilità. Si corre viceversa, con il trasformare la Costituzione in un tabù, il rischio gravissimo di definire eversive tutte quelle forze che scelgono la strada della Riforma.

E questo non è previsto dalla Costituzione.

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