Caso Boccassini: la Procura di Milano vuole arrestare le notizie del Giornale Colpo di scena, la Rai in diretta si dissocia da Santoro: violate tutte le regole

Spazzatura, avevano sentenziato Fini e i suoi fan la scorsa estate quando questo giornale iniziò a occuparsi della casa di Montecarlo che il presidente della Camera aveva svenduto al cognato, sottraendola al patrimonio di An. Oggi due governi sovrani, quello di Santa Lucia e il nostro, certificano ufficialmente che avevamo ragione noi. Non ci aspettiamo le scuse dei maestrini di giornalismo e siamo certi che la casta alla quale apparteniamo non premierà la bravura e il rigore di Gianmarco Chiocci e Massimo Malpica, i due colleghi che insieme a tanti altri hanno condotto un’inchiesta esemplare senza l’aiuto di magistrati che ti passano carte sottobanco, come avviene con i pennivendoli tromboni dell’antiberlusconismo. A noi le procure di solito ci indagano, perquisiscono, intercettano, insultano. È successo anche ieri per il caso Boccassini. «Fango», hanno definito il procuratore capo di Milano, Bruti Liberati, e l’Associazione Magistrati, le carte che abbiamo pubblicato e che raccontano come Ilda Boccassini finì sotto inchiesta del Csm per i suoi amoreggiamenti in luogo pubblico con giornalisti di sinistra. Ma come fango? Sono atti giudiziari, hanno lo stesso valore e dignità di quelli che riguardano l’inchiesta Ruby-Berlusconi.
Le obiezioni sono ridicole. La prima: è roba vecchia, Anni Ottanta. Certo, ma i giornali pubblicano paginate su inchieste che riguardano gli Anni Ottanta di Berlusconi. La seconda: la Boccassini fu assolta. A parte che venne trasferita d’ufficio, di Berlusconi invece si può scrivere anche nel caso di assoluzione, addirittura in mancanza di un semplice rinvio a giudizio, come accade in questi giorni. La terza: è una interferenza nella vita privata. Già, soltanto la vita sessuale dei politici può essere messa in piazza, quella dei pm moralisti deve rimanere segreta, come la stessa Boccassini invocò all’epoca del fattaccio.
Bruti Liberati e la Boccassini non ci spaventano. Noi scriveremo di loro quando e come vorremo, le loro minacce di arresto (se non fisico, della nostra libertà di espressione) sono la prova del delirio di onnipotenza della magistratura. Parlano di delegittimazione ma non hanno smentito una sola riga di ciò che abbiamo scritto, e questa è l’unica cosa che conta.
La verità è un’altra. Chi scrive cose fastidiose per Gianfranco Fini e i magistrati è bollato come diffamatore, mentre sono i fatti che li diffamano e non noi. Chiedere oggi le dimissioni di Fini è una campagna di fango o di verità, avendo lui stesso giurato che avrebbe lasciato la carica nel caso fosse stato accertato che la casa di Montecarlo era del cognato? Fini si vergogni di aver mentito agli italiani, Bruti Liberati di aver intimidito un giornale. Il giornalismo che piace a loro è quello che scrive di un’altra minorenne che avrebbe incontrato Berlusconi ad Arcore anche se, nelle due serate indicate, il premier era la prima in ospedale e la seconda in Arabia Saudita.

La verità che piace a loro non è quella certificata da due Stati sul caso Montecarlo, né quella che racconta Panorama oggi in edicola sui soldi pubblici fatti avere a familiari e amici di Bocchino, Briguglio e Granata. L’unica campagna di fango in corso ha due mandanti precisi: Gianfranco Fini e procure politicizzate.

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